Per il Moscati la spiritualità è sanante e terapeutica

Un esempio per i medici di oggi

13 Moscati_Incurabili durante II Guerra

Moscati all’Ospedale degli Incurabili, durante la II guerra mondiale

La vita del Moscati è una forte provocazione per tutti coloro che svolgono la professione del medico. Certo, il ruolo del medico è cambiato, non viene più considerato con quel carattere di sacralità e di paternità che gli si riconosceva un tempo. In più la professione medica rischia di seguire finalità per lo più economiche che spostano il rapporto medico-malato a medico-cliente. Inoltre l’autonomia del paziente, che è la vera conquista dell’etica medica di questi ultimi anni, rischia però di ridurre il rapporto medico-paziente ad un rapporto tecnico e freddo che genera due opposti atteggiamenti: da una parte la difesa da parte del medico sul piano assicurativo, dall’altra l’eccessiva aspettativa del paziente.

Davanti a questo, la figura del Moscati è una forte provocazione per i medici che esercitano la professione delegando la propria responsabilità, seguendo la quale invece dovrebbero seguire i pazienti, controllare l’evoluzione delle loro malattie, emettere la certificazione solamente dopo aver verificato di persona.

Per il Moscati il fine dell’azione sanitaria è quello di occuparsi della salute – dal latino salus – che è la salvezza integrale dell’ammalato. Ci ricorda come farsi prossimo significhi avvicinarsi negli spazi più intimi dell’ammalato affinché le parole inizino a lasciare spazio all’incontro. Per Moscati anche i gesti più banali sono terapeutici: la mano del malato che prendeva posandola sul letto o una carezza sul volto, gli permettevano di dire anche la verità più difficile perché sentivano in lui un compagno di viaggio.
Moscati considera il paziente una persona prima che un “caso da studiare”.

Ai suoi allievi ripete di non seguire scorciatoie: la tecnica deve essere a servizio dell’uomo, ogni medico è responsabile davanti alla propria coscienza e al proprio paziente delle scelte fatte. Per Moscati la conoscenza scientifica non basta se non si approfondisce anche l’etica e l’antropologia che permettono di inquadrare l’uomo nella sua interezza.
Un testimone lo ricorda così: “Ciò che non avrei dimenticato mai più di quell’incontro fu l’impressione profonda che mi fecero quei suoi occhi. Pur attraverso l’ombra di stanchezza (…) c’era in essi una limpidezza illibata, serenissima, quasi di fanciullo. Una bellezza che sembrava vincere – di molto – la vivace intelligenza del clinico, così esercitato a leggere entro i misteri dei corpi e delle anime: riflesso di una pienezza di luce interiore”.

Rispondendo il 22 luglio 1922 a una lettera di un suo ex allievo, il dott. Agostino Consoli, il Moscati scrive parole che possiamo considerare un programma di vita: “Sebbene lontano, non lascerete di coltivare e rivedere ogni giorno le vostre conoscenze. Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell’aldilà! In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all’eternità della vita e dell’anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene”.

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Grazie al suo intuito diagnostico e al suo acume psicologico, il Moscati sa distinguere ciò che può essere curato con la medicina e ciò che invece deve essere sanato interiormente, dote che un suo collega descrive in questo modo: “Da vero credente andava al nocciolo della questione, poiché sapeva che è inutile aggirare un problema senza affrontarlo alla radice.
Egli però ben la conosceva e quindi senza infingimento né rispetto umano dettava la terapia dello spirito, anche se sapeva di suscitare talvolta malumore, specie ai suoi tempi nei quali dominavano le teorie psico-analitiche fondate sul concetto freudiano della istintualità della natura umana”.

Con questo non si vuole dire che le malattie si curano con la preghiera, anzi, Moscati concepiva la formazione scientifica come permanente, ma riteneva necessario arricchire la conoscenza con la luce della fede.
Per il Moscati esiste anche una dimensione spirituale che è sanante e terapeutica: coloro che muoiono riconciliati, continuano a vivere in Dio. Quanti vivono avendo un cuore diviso, sono già morti. É famoso il suo intuito diagnostico, il suo colpo d’occhio era ritenuto infallibile, le fonti documentano centinaia di casi in cui al Moscati basta guardare in faccia al proprio paziente per diagnosticare con esattezza la malattia.
Dichiara un ammalato, Michele Parlato: “La sua diagnosi sulla mia malattia era contro quella di altri due clinici di grande valore che restarono scettici su ciò che disse il Moscati. Ma io avevo fiducia in lui e mi rifiutai all’intervento. Dopo un mese, ristabilito ritornavo alle mie occupazioni”.

Cura persone di ogni posizione sociale: dal più povero, alle persone più famose come ad esempio il grande tenore Enrico Caruso, arrivato dall’America già gravemente malato. Per questo caso il Moscati fu l’unico tra i luminari a formulare una diagnosi esatta: ascesso subfrenico.

Per questo è stato definito dai suoi principali biografi: “Pioniere della diagnostica, ma soprattutto umanizzatore della medicina”.

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