Ricomporre frammenti

«È una luce che acceca, la loro. Una di quelle davanti alle quali, dopo un lungo periodo trascorso al buio, metti le mani davanti alla faccia per nascondere i forti fasci che ti abbagliano la vista, infastidendoti. Ti chiedi come facciano, dove trovino la forza, cosa li spinge ad andare avanti».

Inizia così l’introduzione del volume di Michela Mauri che ha raccolto 20 voci di ammalati tra cui paraplegici e tetraplegici.

La lettura porta ad ascoltare un coro che suona la stessa melodia, quella di trovare ragioni e un senso da dare alla vita. Da molti racconti emerge che basta un niente – come ad esempio un incidente – per cambiare tutto, prospettiva, sogni e domande.

Le pagine scorrono veloci, ed emergono

«perseveranza, spirito di comunità, volontà di progettazione, entusiasmo spontaneo, impegnata ricerca della competenza ed umiltà, tanta umiltà, indispensabile per essere credibili di fronte al mistero del dolore» (p.5).

Il luogo è Villa Beretta, dove nessuno aveva messo in conto di andare. Ma quando è stato costretto a trovarlo, è stato accolto e si è rimesso in gioco». Lo scrive Franco Molteni, Direttore della divisione di medicina riabilitativa dell’ospedale Valduce “Villa Beretta” a Costa Masnaga (Lecco), tra i più noti medici italiani impegnati nel campo della riabilitazione.

Alcuni protagonisti del volume ci hanno purtroppo lasciati ma le loro righe sono una sorta di testamento di vita, altri continuano a lottare, come Gianbattista, un medico chirurgo che dopo qualche anno di riabilitazione ha riconvertito i suoi interessi ed è diventato nutrizionista. Per cambiare occorre attraversare l’oscurità quando durante

«la notte sei solo con te stesso e non puoi fare altro che pensare […]. Racconto la mia storia per far capire alle persone che qualsiasi sia il problema, c’è sempre uno spazio» (p.16),

afferma Gianbattista.

All’inizio sembra di vivere la fine, poi si scopre che diventa il fine di una vita altra, la faccia della moneta che a livello pubblico non si vuole vedere e si nasconde, ma c’è. Giovanna racconta il dolore provocato dalla sua malattia, Antonio invece ripone al centro la condivisione e rifiuta la commiserazione, Ivan racconta la sua esperienza di morte e di rinascita, Cristina illumina l’esperienza d’amore di chi si fa prossimo. Matteo definisce “padri medici” i dottori che lo accompagnano, mentre in quasi tutte le testimonianze emerge la cura delle suore infermiere dell’Addolorata di cui si racconta anche la testimonianza di suor Paola che da 50 anni vive in corsia. Suor Bernardetta nella sua postfazione parla di umanità che diventa carità

«mentre tra i lunghi corridoi si asciugano le lacrime, si balbettano gli auguri, si consolano i familiari, si collabora con il personale» (p.125).

Il titolo risuona in ogni testimonianza: il frammento – fragmentum -, deriva da frangere, spezzare. Quando si rompe qualcosa che formava un’unità, occorre rimetterla insieme a livello personale, familiare e sociale. Nessun frammento può mancare se si vuole ritrovare la forza di fare un passo in più. Così la riabilitazione a Villa Beretta è un’arte fatta di abilità, spiritualità e antropologia, simile alla tecnica orientale del kintsugi che salda insieme i frammenti di ciò che si è rotto usando una mistura di lacca e oro in polvere. Sembra un assurdo, ma le vite che si compongono sono più preziose di quelle che non si sono spezzate, a tenerle insieme c’è l’oro degli affetti, della cura medica e del valore dello stato sociale.

Quella di creare una comunità di riabilitazione è la scommessa di Mariella Enoc procuratrice speciale dell’Ospedale Valduce per la quale la sanità ha almeno tre finalità: investire nella ricerca scientifica; personalizzare la medicina tra la cura (tecnica) e l’attenzione al mondo affettivo, relazionale e spirituale del paziente; dilatare il concetto di guarigione e di salute, che dal latino salus include anche la salvezza del paziente.

Michela Mauri, Ricomporre frammenti. Storie dai corridoi di Villa Beretta, Merateonline, 2019, 125.

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