Il discernimento dei gesuiti (IV regola)

Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, il messaggero cattivo ti dà desolazione spirituale. Essa è il contrario della consolazione: è oscurità, turbamento, inclinazione a cose basse e terrene, inquietudine dovuta a vari tipi di agitazione, tentazioni, sfiducia, mancanza di speranza e amore, pigrizia, svogliatezza, tristezza e senso di lontananza del Signore. Infatti, come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che nascono dalla consolazione sono opposti a quelli che nascono dalla desolazione (Esercizi Spirituali, n. 317).

Le voci che disgregato e dividono il nostro cuore producono come conseguenza la desolazione. Sono le voci (attenzione a non spaventarsi troppo) del diavolo, che dal greco significa “divisore”. La sua azione, è contraria a quella del Dio-con-noi, Colui che consola, ti divide dalla sua “compagnia”, ti lascia de-solato, abbandonato, con sentimenti di tristezza.

Le nostre relazioni e la nostra interiorità la possiamo vivere in due modi. Non ne esiste un’altro. Il primo è tipico dei momenti di desolazioni se non vogliamo attraversarli. Si tratta di un modo diabolico: ci divide da noi stessi, dagli altri e dall’Altro. Il secondo è divino: ci fa accettare noi stessi come figli amati, gli altri come nostri simili, e il Padre di vita. Nella desolazione rischiamo di cedere e abbandonare la vita propria e altrui; il desiderio di uscirne indica una ricerca di affidarsi nelle mani altrui. “Di fiducia si vive, di diffidenza si muore!” mi diceva p. Silvano Fausti. La desolazione interiore crea un sistema di paura, violenza, concorrenza e distruttività; la fiducia un mondo di desiderio, dono, solidarietà e crescita. Da spietato, destinato al nulla, il mondo diventa divino.

Nel nostro vagabondare, sono i nostri desideri che come il sole risplendono oltre le nubi della desolazione ad essere una luce che ci orienta di bivio in bivio, ai nostri sentieri smarriti per ricondurci al nostro “dove”. Ci sono tre orizzonti da non perdere quando si è immersi nella desolazione: chi sono?; dove vado? davanti a Chi dovrò rendere conto, scriveva Buber.

Discernimento

Il nemico prima ti divide da Dio, poi da e in te stesso, poi dagli altri e infine dalla creazione. “Così – è stato scritto dal p. Fausti – separato da Dio, di cui sei immagine, perdi la tua identità e rompendo la tua relazione che ti fa vivere, quella tra te come creatura e il tuo Creatore, si spezzano anche le altre”.

Resti solo, “desolato”, in una solitudine sempre maggiore e senza confini, senza sapere chi sei, da dove vieni e verso dove vai. Eppure c’è un eco che ci richiama al monito scolpito sul tempio di Delfi: “conosci te stesso”.

Ma nella desolazione sei turbato e sconvolto, pieno di paura, sospeso in un vuoto vorace che inutilmente cerchi di riempire con illusori piaceri. Queste voci, chiamate in altro modo, sono quelle di satana, che vuol dire “accusatore, pubblico ministero”. È il contrario di Paraclito, che significa avvocato difensore.

La consolazione è quando sei in armonia con l’opera di Dio e trovi nella calma e nell’abbandono in Lui la tua forza.
Conosciamo tutti la desolazione, meglio della consolazione, anche perché il male è più percepibile del bene. E poi torna e ritorna nella memoria e riaffiora nell’inconscio.

Se, quando cerchi il male, il nemico ti alletta col piacere apparente, quando vuoi uscire dalla schiavitù, ti ostacola con la desolazione, dispiacere apparente. Non dialogare con queste voci.
La desolazione ha un triplice linguaggio, opposto a quello della consolazione.

C’è una desolazione sensibile, con oscurità, turbamento, attrattiva al male, agitazione, ribellione e repulsione al bene: è l’opposto della consolazione sensibile. In sé non è un male: è solo una prova, con forte pericolo di caduta, ma anche opportunità di purificazione.

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Esiste una desolazione sostanziale, un calo di fede, speranza e amore, opposta alla consolazione sostanziale, non sensibile. Può portare all’infedeltà, alla disperazione, all’indifferenza o addirittura all’odio verso Dio. Si chiama accidia «il male di vivere», praticata nelle odierne società occidentali, nei Paesi in cui l’ideale di una vita all’insegna della sicurezza e dell’abbondanza di beni sembra essere il fine di tutto.

Se non la si arresta crea un io fragile, debole, malato, del tutto antitetico alla dignità e grandezza dell’uomo artefice di sé che aveva segnato l’alba dell’età moderna. Una vita più lunga e fisicamente efficiente non si traduce in una vita più bella, più piena, più felice, neppure in una vita degna di essere vissuta. Sembra invece che altre forme di disagio, di malessere, ma soprattutto di fragilità si siano introdotte.

Si avverte una desolazione quasi insensibile, opposta alla consolazione corrispondente, che si traduce in assenza di gioia, di pace e di ogni buon sentimento, con i sentimenti contrari o, peggio, di tepore e apatia, che possono portare all’accidia.

Non dare ascolto a questi sentimenti che ti bloccano. Nell’esame della coscienza, la prima cosa è stanare questi pensieri negativi.
Le desolazioni, se non avvertite e riconosciute, portano al male, e dal male al peggio. Sentile e riconoscile; ma dissenti da esse. Non coltivarle: sono l’inizio della tua sconfitta, ma prese con pazienza e fiducia, siano per te opportunità di crescita.

Quando Adamo peccò e si nascose, Dio gli disse: “Dove sei?”, perché non era più al suo posto. Il posto dell’uomo è in Dio dove si sente integrato e creato. Se nella desolazione siamo in esilio da lui e da noi stessi, nella nostalgia del giardino perduto non posso vivere da esule perché è proprio dell’esule non essere di casa in nessun luogo. Per questo devi uscirne e camminare, con il rischio di errare, ma lontano o vicino alla sua casa la sapienza è di chi vive da pellegrino.

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2 Comments

  1. 1

    Grazie p. Francesco per la IV regola! Leggendola ho pensato alla mia vita fin qui, con gli occhi che passano dalla tastiera al faro incorniciato e, al lume, sempre un faro(bellissimo). Il primo è immerso in una tempesta da panico, è un faro famoso bretone di pietra scura solidissima che sembra tutt’uno con lo scoglio, il secondo, il mio lume, è solo bello, quindi, niente panico……..Ecco, la mia mania per i fari è il riconoscimento del simbolo, mi sono detta. Il mio mantra, della mia vita : Forza e Luce, piede destro e piede sinistro o….Volontà e Amore.
    Salutissimi
    Isabella

  2. 2

    Bellissima riflessione.! Bella la foto con gli alberi che pur essendo spogli, danno un senso di pienezza e di vita all’ambiente circostante. Faccio mia l’ ultima parte dell’articolo “…….ma prese con pazienza e fiducia, siano per te opportunità di crescita…..”. OPPORTUNITA’ DI CRESCITA, sempre la metto in pratica. Anche nella sconfitta mi fermo e mi chiedo “dove ho sbagliato?”. Da lì riparto, come una palla che una volta toccata terra rimbalza verso l’alto più forte di prima!

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