Il lavoro nella Costituzione

Nel pensiero dei padri costituenti il lavoro è paragonabile a un esodo. È promesso. Viene plasmato e si forma in un processo sociale e antropologico dinamico, mai statico. È per questo che nella Costituzione, il termine più ricorrente, dopo «legge», è «lavoro» o «lavoratori». Il significato di lavoro – non riducibile all’occupazione e alla retribuzione – è come una bussola, è stato pensato per orientare il cammino di una società chiamata ad attraversare stagioni e lavori nuovi. Nel tempo delle macchine e dei robot, quale significato assumerà il lavoro per la vita degli uomini? Quali devono essere i (nuovi) diritti e doveri del lavoratore a partire dal dettato costituzionale? E ancora: come sconfiggere la disoccupazione e quale formazione garantire ai giovani per prepararli al lavoro del futuro?

Sembra una provocazione eppure la Repubblica «è fondata sul lavoro» (art. 1), da cui discendono diritti e doveri per contribuire al progresso «materiale e spirituale della società» (art. 4 Cost.). Lavorando, la persona si costruisce e cresce anche spiritualmente perché per i costituenti cattolici il lavoro era inteso come un «atto creatore».
Quando, durante i lavori della Costituente, Costantino Mortati propose di inserire il principio lavorista come diritto fondamentale, lo pose accanto al principio democratico, a quello personalista e a quello solidarista. È da quest’insieme di principi che si definisce la dignità della persona umana come “valore madre” della nostra Costituzione. Il significato di lavoro nella Costituzione rimanda sempre al significato della dignità della persona e della sua concreta realizzazione come realizzazione di libertà, di crescita personale e comunitaria, di inclusione e di coesione sociale. Il cittadino non viene definito più dal ruolo sociale conferito dalla ricchezza o dai titoli nobiliari, ma dal fare bene ciò che gli viene affidato.

Il principio lavorista come bussola di discernimento

La stessa definizione di «lavoro» nella Costituzione ha dovuto sottoporsi a tre delle quattro rivoluzioni che lo hanno coinvolto: quella fordista con il tempo della produzione di massa attraverso l’uso dell’elettricità e di un accresciuto utilizzo del petrolio come nuova fonte energetica; la terza rivoluzione, legata alla rivoluzione industriale e alla nascita dell’informatica; infine, la quarta rivoluzione industriale, definita Industry 4.0, che riguarda gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, le nanotecnologie, le biotecnologie e il digitale e le loro applicazioni nel mondo del lavoro.

Certo, il lavoro non lo deve creare lo Stato, ma le imprese. Alle istituzioni però spetta il compito di creare lavoro e garantirlo rimuovendo gli ostacoli come l’eccessiva burocrazia, i lunghi tempi della giustizia civile, l’enorme tassazione, il contrasto alla corruzione e al clientelismo, il costo eccessivo dell’energia rispetto alla media europea e favorendo l’accesso a tutte le imprese del Paese alla banda larga, l’accesso al credito o a forme alternative di finanziamento come quella del capitale a rischio. Lo chiede il principio lavorista che è (tecnicamente) una disposizione finalistica dell’Ordinamento. Su questo principio sono nate le formulazione di articoli lungimiranti durante la Costituente, come, ad esempio, quelli che sostengono il diritto alla «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro», sufficiente per un’«esistenza libera e dignitosa»; quelli che garantiscono i riposi settimanali e ferie annuali retribuite inderogabili (art. 36); quelli che affermano i diritti e «lo stato di parità della donna lavoratrice» (art. 37); quelli che promettono i mezzi necessari anche per il cittadino inabile al lavoro e prevedono la tutela per malattia, invalidità e disabilità (art. 38); quelli che autorizzano l’organizzazione sindacale e il diritto di sciopero (art. 39); quelli che riconoscono la libertà dell’iniziativa privata (art. 41), che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale». Conquiste importanti che hanno ispirato le riforme nell’età repubblicana. Un dono e una responsabilità che richiedono agli imprenditori, ai lavoratori, alle parti sociali e ai politici di guardare nella stessa direzione attraverso un approccio olistico al lavoro.

Ma c’è di più. Negli atti della Costituente il lavoro è stato pensato in connessione alla formazione e alla famiglia. Mancano ingegneri, commercialisti, saldatori, cuochi, infermieri, esperti di marketing, falegnami, fabbri e soprattutto professionisti del Tech, i lavoratori del digitale. La scuola non sta preparando i giovani ai lavori per i quali c’è domanda di assunzione e lo scorso anno sono stati circa 259.000 i profili professionali che le aziende non sono riuscite a reperire. E poi ci sono le famiglie. Dalle Costituzioni di Paesi come Francia, Spagna e Germania sono nati i «Fondi opportunità» per ogni bambino che nasce; gli «affitti di emancipazione», per rendere autonomi i giovani nel difficile passaggio all’età adulta e al mondo del lavoro e «Pacchetti Giovani Famiglie» per aiutare le giovani famiglie nel lavoro.

È attraverso i princìpi costituzionali che definiscono il lavoro che siamo chiamati a stabilire le tutele previdenziali e assicurative dei nuovi lavoratori. Cosa significherà per loro ottenere un salario equo, condizioni lavorative sicure, tutele degne? Mentre il diritto europeo distingue il worker, il lavoratore tout court, dall’employee (dipendente), il lavoratore subordinato, il legislatore italiano, invece, si ostina a regolare le nuove forme di lavoro, come lo smart working, nello schema classico della subordinazione. Un’altra questione ci sta a cuore: il rapporto tra lavoro e pensioni che richiede un nuovo patto generazionale e il riconoscimento del lavoro degli immigrati, in un Paese come l’Italia in cui su quattro occupati quasi tre sono pensionati. E ancora: è costituzionale sottopagare il lavoro di alcune professioni? Inoltre davanti ai tanti privilegi, ai mega stipendi o alle pensioni d’oro, come l’Ordinamento include i princìpi di giustizia e di solidarietà che definiscono il principio lavorista?

Il «dono» fonte del principio lavorista

Il lavoro ha un fondamento antropologico nella Costituzione che Papa Francesco ha ribadito davanti ai 3.500 lavoratori dell’Ilva di Genova il 27 maggio scorso: «Lavorando noi diventiamo più persona, la nostra umanità fiorisce, i giovani diventano adulti soltanto lavorando». Il Papa richiamando il senso dell’art. 1 della Costituzione italiana, – «L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro» – ha precisato: «Togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticostituzionale. Se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia, perché il posto di lavoro lo occupano e lo hanno sempre occupato privilegi, caste, rendite». Ha poi precisato: «Dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”! Perché senza lavoro, senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». Non assistenzialismo ma responsabilità. E poi da premiare sono i doni, i “talenti” ricevuti, non le logiche meritocratiche che finiscono per creare disuguaglianze e competizioni.

Nella Costituzione il lavoro, che genera nuove tipologie di lavoro come il lavoro 4.0, va pensato nelle logiche dell’economia di mercato, in cui non tutti i beni sono merci (ad esempio, la fiducia, la stima, l’amicizia). Non va pensato nelle logiche della società del mercato, che tende a monetizzare tutto. È urgente in questo nuovo scenario antropologico rilanciare culturalmente il significato della festa e del riposo, dell’educazione ai nuovi tempi e del diritto agli aspetti ludici e gratuiti di cui la vita del lavoratore ha bisogno. Inoltre occorre riconvertire quei lavori che si basano sul traffico illegale delle armi, la pornografia, il gioco d’azzardo e, più in generale, le occupazioni che non lasciano tempo per vivere o umiliano chi li compie.

Il lavoro per la Costituzione – nel tempo dei populismi che disintermediano, non accettano le minoranze, parlano con leader autoritari, comunicano deformando la realtà – ha bisogno di enti intermedi forti che ripartano da comunità coese e solidali. Tra queste presenze, la Chiesa in Italia ha deciso di contribuire con tutta la sua forza e le sue risorse.

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