Il Giubileo dei carcerati

Il sipario sul Giubileo straordinario si sta per chiudere, ma il 6 novembre 2016 si celebra il Giubileo dei carcerati. Qual è il suo vero significato? Cosa dice la Chiesa e il Papa su un tema così scottante che divide la politica e la società?

Chiariamo anzitutto un punto di partenza: la riflessione della Chiesa sulla pena si fonda sull’elemento antropologico dell’incontro di due dolori, quello della vittima che lo subisce e del carnefice per le conseguenza delle sue azioni. Nessun irenismo, nessuna scorciatoia, solamente un’iniezione di misericordia nel significato di giustizia.

La riabilitazione del detenuto e il significato della pena, di cui parla l’art. 27 della Costituzione, sono possibili per la dottrina sociale della Chiesa ad una condizione: rimettere al centro il dolore della vittima e dei suoi famigliari.
È questa la tesi centrale ribadita da Papa Francesco nei suoi interventi sulla giustizia: «Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore. […] Nelle nostre società tendiamo a pensare che i delitti si risolvano quando si cattura e condanna il delinquente, tirando dritto dinanzi ai danni provocati o senza prestare sufficiente attenzione alla situazione in cui restano le vittime. Ma sarebbe un errore identificare la riparazione solo con il castigo, confondere la giustizia con la vendetta, il che contribuirebbe solo ad accrescere la violenza, pur se istituzionalizzata» [1].

Gli studi di criminologia dimostrano che l’inasprimento delle pene non fa diminuire il tasso di criminalità. Per questo il Papa chiede agli operatori della giustizia di introdurre la «pena medicinale» e abbandonare la «pena vendicativa». La conversione culturale deve però includere due cambiamenti di prospettiva: il primo si basa sul modo di riparare il danno insegnato dal samaritano che invece di rincorrere il colpevole si inginocchia davanti alla vittima ferita gravemente sul ciglio della strada; il secondo è farsi carico non solamente dell’espiazione della «pena oggettiva» ma della riabilitazione interiore del detenuto.
Il cambiamento secondo il Papa inizia con «l’atteggiamento di chi riconosce e si rammarica della propria colpa. Se il delinquente non viene sufficientemente aiutato, se non gli viene offerta un’opportunità perché possa convertirsi, finisce con l’essere vittima del sistema.

È necessario fare giustizia, ma la vera giustizia non si accontenta di castigare semplicemente il colpevole. Bisogna andare oltre e fare il possibile per correggere, migliorare ed educare l’uomo affinché maturi da ogni punto di vista, di modo che non si scoraggi, affronti il danno causato e riesca a reimpostare la sua vita senza restare schiacciato dal peso delle sue miserie»[2]. Si tratta di un passaggio esigente. Il costo morale per un detenuto è alto perché il Pontefice smaschera un luogo comune: non è il tempo della pena che estingue la colpa ma solamente la capacità interiore di riconoscere il male che si è voluto compiere.

carcere-e-papa

Per il Papa un istituto di pena è tale se la relazione educativa diventa relazione di cura che inizia dalla volontà del detenuto di fare ferità sulla «frattura rigeneratrice» su cui pesa il senso della sua colpa. Per la Chiesa la «pena sanante» passa attraverso la rieducazione del detenuto, altrimenti il tempo della detenzione rischia di sostituire l’espiazione della colpa. Il riscatto invece passa dal riconoscimento della colpa e dalla capacità di guardare dentro la ferita dell’ingiustizia compiuta. È quel processo umano che la Scrittura definisce come «rinascita interiore».

Ma c’è di più, la prevenzione dei delitti deve precedere la cura: «Non poche volte — ribadisce il Papa — la delinquenza affonda le sue radici nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti della corruzione e nel crimine organizzato, che cercano complici tra i più potenti e vittime tra i più vulnerabili. Per prevenire questo flagello, non basta avere leggi giuste, è necessario formare persone responsabili e capaci di metterle in pratica».

Il Papa pone di nuovo al centro della riflessione pubblica mondiale il modello della giustizia riparativa [3], definita anche giustizia riconciliativa, che parte dalle seguenti domandi: chi è colui che soffre? Quale è la sofferenza? Chi ha bisogno di essere guarito?
Questo modello riabilita due attori dimenticati dalla giustizia — la vittima e la responsabilità della società di rieducare [4] — e ha una triplice finalità: la riparazione del torto subito, la riconciliazione tra le parti e la restituzione del danno subito. Proprio la riflessione della Chiesa nel Compendio della Dottrina Sociale ricorda che le finalità a cui deve tendere una giustizia matura sono duplici: «Da un lato favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall’atto criminoso» [5].

L’attenzione della Chiesa durante il Giubileo verso i carcerati sarà l’occasione per interpellare le coscienze personali e sociali su un cambiamento del modello di giustizia che coniuga misericordia e verità per promuovere politiche del perdono come aveva sottolineato in passato anche Giovanni Paolo II: «Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono si può anche sperare in una “politica del perdono”, espressa in atteggiamenti sociali e istituti giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano»[6].

Infine oltre ad insegnare questo nuovo corso della giustizia, la Chiesa cerca di viverlo come ci ha insegnato in questa foto Giovanni Paolo II.

pope-john-paul-ii-visits-agca

 

Fonti

[1] Lettera di Papa Francesco ai partecipanti al XIX Congresso Internazionale dell’Associazione Internazionale di diritto penale  e del III congresso dell’Associazione latinoamericana di diritto penale e criminologia, 30 maggio 2014, in w2.vatican.va/

[2] Ivi.

[3] F. Occhetta, «La giustizia riparativa. Verso una nuova idea della pena», in Civ. Catt. 2010 IV 213-226; Id., «Le radici morali della giustizia riparativa», in Civ. Catt. 2008 IV 444-457;

[4] Per approfondire i quattro princìpi dell’etica biblica su cui si basa il modello della giustizia riparativa cfr. F. Occhetta, «Le radici morali della giustizia riparativa», in Civ. Catt. 2008 IV 444-457.

[5] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 403, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2004, 220.

[6] Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale della pace 2002, in w2.vatican.va/

Per approfondire: LA GIUSTIZIA CAPOVOLTA

Facebooktwitterlinkedinmail

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Potrebbe interessarti anche