Vangelo e società si possono incontrare? Una scommessa a favore della speranza

Il direttore emerito della «Civiltà Cattolica» su Vangelo e società

Una scommessa a favore della speranza
di GianPaolo Salvini

Qualcuno ha definito la dottrina sociale della Chiesa «l’incontro tra il Vangelo e la società», espressione suggestiva, perché precisa subito i due poli tra i quali deve svilupparsi una tensione positiva, creativa, che non si può risolvere eliminando uno dei due poli, ma anzi rafforzando la tensione in modo che ne scaturisca un pensiero vitale e fecondo. La fede infatti non cambia nel suo nucleo fondamentale, ma la società muta in continuazione e muta quindi anche il tipo di luce di cui ha bisogno per il suo cammino.

buongoverno

Buon governo, Lorenzetti, Siena.

Nei trattati classici di morale esisteva un capitolo specifico, che si chiamava De iustitita et iure, nel quale sarebbe dovuta nascere e svilupparsi la riflessione in materia sociale. Storicamente però l’avvio è stato diverso. La dottrina sociale della Chiesa è nata con la Rerum novarum di Leone XIII (1891) per rispondere a un’emergenza storica, provocata dalla rivoluzione industriale, dallo sfruttamento disumano dei lavoratori dipendenti soprattutto nelle fabbriche di allora e dalla provocazione rappresentata da soluzioni proposte da altri e che la Chiesa giudicava più pericolose del male a cui si voleva porre rimedio, come il socialismo ispirato al marxismo ateo.

Anche se Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis (1987) dice che la dottrina sociale non è una terza via né un’ideologia, ma «appartiene al campo della teologia, e specialmente della teologia morale», la dottrina sociale ha continuato a svilupparsi seguendo un filone autonomo, scandito dall’apparire periodico di documenti del Magistero, cominciando dal 1931, per aggiornare la Rerum novarum a mano a mano che la società cambiava.

Le prime encicliche sono incentrate sulla cosiddetta «questione operaia» divenuta poi «questione sociale». L’intervento della Chiesa avveniva in difesa del lavoratore, per aprirsi poi all’economia mondiale globalizzata e finanziarizzata di oggi. La dottrina sociale è nata in difesa dei deboli e lo è sempre rimasta, ma allo stesso tempo lotta contro le povertà. Un segno dei tempi da sottolineare è che mentre per sessant’anni si è commemorato il decennale della Rerum novarum, sia la Sollicitudo rei socialis sia l’ultima grande enciclica sociale, la Caritas in veritate (2009) di Benedetto XVI, sono state pubblicate per celebrare la Populorum progressio (1967) di Paolo VI: quasi a dire che l’orizzonte della dottrina sociale si è spostato dal piano nazionale o europeo a quello mondiale.

Anche se i princìpi dai quali la dottrina sociale parte, e in base ai quali illumina la realtà sociale ed economica per poter orientare il comportamento umano alla luce del Vangelo, sono sempre gli stessi –, come la concezione dell’uomo, della giustizia sociale, di uno sviluppo integrale e armonico — è evidente che la realtà umana è mutevole. Basti pensare ai risultati della scienza e dell’applicazione alla tecnica, alla mobilità e al mondo virtuale e digitale. Il risultato è che la dottrina sociale, che prima concentrava i suoi interventi su un punto specifico, cerca ora di occuparsi dell’intero progetto di Dio sull’umanità, con il risultato che le ultime encicliche sono quasi enciclopedie. Questo è dovuto soprattutto al fatto che il nostro mondo è complesso, molteplice, globale e locale allo stesso tempo, i vari aspetti della vita sociale sono interdipendenti tra loro e i Papi desiderano mostrare di esserne consapevoli. È in certo senso una reazione alla specializzazione esasperata e alla frammentazione delle discipline, che consente spettacolari scoperte, ma con il rischio di perdere di vista l’unicità della vita, anche sociale, e soprattutto il fine delle discipline stesse, che non si trova all’interno di ciascuna disciplina, ma al di fuori di esse. Se uno non è attento, trasforma gli strumenti in fine e perde di vista il senso del cammino. La Caritas in veritate dice esplicitamente che «la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli». Ciò a cui mira oggi la dottrina sociale è un nuovo umanesimo e l’uomo nella realtà quotidiana non è diviso in settori.

Un significativo cambiamento è avvenuto anche nel linguaggio, diventato più tecnico, specifico, grazie all’apporto di laici esperti nelle discipline economiche, finanziarie e sociali. Questo spiega il favore incontrato dagli ultimi documenti. Ad esempio imprenditori e sindacalisti vi riconoscono il proprio linguaggio. Il rovescio della medaglia è che più il linguaggio si fa concreto e pertinente alla vita delle imprese o dell’economia finanziaria, più diventa provvisorio, legato alla congiuntura, quindi discutibile e rivedibile. Sui sommi princìpi è relativamente facile trovare l’accordo. Molto meno su determinazioni concrete. Molti imprenditori credenti soffrono per lo scarto tra teoria molto bella e realtà quotidiana che sembra lontana. La dottrina sociale va interiorizzata, deve diventare radice del proprio agire, sapendo che la realtà non è mai l’ideale ma lo incarna.

Un altro aspetto nell’evoluzione della dottrina sociale in questo nuovo secolo è il cambiamento che c’è stato con il Vaticano II nei confronti del mondo moderno. E la dottrina sociale è tutta un confronto con il mondo moderno. Non per nulla essa è nata insieme al mondo moderno come lo intendiamo noi cioè con la rivoluzione industriale. La Chiesa per quasi due secoli si è sempre contrapposta alla modernità e a ciò che essa significava. Dopo il turbine della rivoluzione francese e di ciò di cui essa si faceva portatrice, mentre la rivoluzione industriale portava le sue novità, il Magistero è stato sempre molto critico su tutto ciò che la modernità portava con sé.

Questo sia come impostazione dottrinale (basta pensare al Sillabo di Pio IX, anche se le singole proposizioni condannate vanno contestualizzate) sia per l’elevatissimo costo sociale che l’industrializzazione ha richiesto nei primi tempi. In realtà molte conquiste della modernità, come i diritti individuali, sociali, politici, discendono come parte integrante dal messaggio cristiano. Ma chi li ha difesi e rivendicati lo ha fatto in funzione antiecclesiastica e anticristiana, provocando una reazione uguale e contraria da parte della Chiesa, che ha fatto fatica a riconciliarsi con essi, anche per via delle vicende storiche in cui essi prendevano forma, non di rado persecutoria verso la Chiesa.

Il cambiamento si è avuto con il concilio Vaticano II, in particolare la Gaudium et spes: il più lungo dei documenti conciliari e anche l’ultimo ad essere stato approvato. In esso non c’è più nessuna condanna e il mondo moderno viene visto con una simpatia inedita, tanto che il documento è stato giudicato peccare di eccessivo ottimismo.

È bene ricordare anche il titolo della Gaudium et spes: «La Chiesa nel mondo contemporaneo» e non «e il mondo contemporaneo» o «di fronte al mondo contemporaneo». La Chiesa si ritiene in cammino con l’umanità, soggetta alle vicende storiche, alle debolezze degli uomini che la guidano, e non è solo la maestra che giudica, condanna o assolve.
Questo atteggiamento del concilio ha avuto un evidente influsso nella dottrina sociale, i cui documenti sono andati evolvendo, adattandosi a questo stile profondamente diverso, cercando di entrare in dialogo con il mondo moderno. Dialogare significa proporre le proprie motivazioni e dare il proprio contributo specifico, ma anche essere disposti a ricevere.

Durante il concilio venne pubblicata la Pacem in terris di Giovanni XXIII, che inizia questo stile nella dottrina sociale, distingue tra l’errore e l’errante, tra teorie filosofiche che non cambiano e movimenti storici che si ispirano ad esse e che possono evolversi anche positivamente e con i quali si può anche collaborare. Poco dopo il concilio uscì la Populorum progressio, che denuncia con linguaggio lapidario le gravissime distorsioni umane ed economiche presenti nel mondo, ma non condanna lo sviluppo, anzi lo definisce «il nuovo nome della pace».

Le encicliche successive hanno adottato lo stesso tono. In particolare la Caritas in veritate, che fa una vera apologia della scienza e la tecnica, denunciandone anche l’ambivalenza. Ma l’enciclica di Papa Ratzinger è piena di volontarismo e di fiducia nell’umanità che, con l’aiuto di Dio, potrà rendere il nostro mondo più degno di essere abitato, anche se la storia umana può conoscere ricadute e sconfitte.
Il nostro mondo è ammalato di catastrofismo. Gli ottimisti hanno poco successo. La dottrina sociale attualmente non fa dell’ottimismo a buon mercato, non nasconde gli immensi problemi da risolvere, ma scommette a favore della speranza.

(©L’Osservatore Romano 26 maggio 2013)

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