Per paura voto la destra!

La destra ha stravinto in Francia. Ma non per gli effetti dell’attentato del mese scorso. Un consenso di questo genere fa parte di un lungo e latente processo paragonabile a un maremoto che restituisce la sua furia sulla riva non immediatamente. Lo ha affermato e previsto con ragione anche Enrico Letta. Anche il “piano di evacuazione” del Presidente Hollande non ha funzionato. Ha cercato in tutti i modi di gestire la crisi con le caratteristiche di un leader della destra (chiusura frontiere, compressioni delle libertà individuali ecc.), ma è stato inutile. E’ interessante l’opinione di Cesare Martinetti su La Stampa del 7 dicembre quando scrive: “Il Front National è il primo partito di Francia, Marine Le Pen cambia il paradigma politico di un Paese fondatore dell’ Unione europea e apre una dinamica imprevedibile nel vecchio continente. (…) Il 40 per cento di voti presi da Marine Le Pen e dalla nipotina Marion nella due regioni in cui erano candidate (Nord-Pas-de-Calais e Piccardia, Provenza-Costa Azzurra) costituiscono la somma dei voti di destra e sinistra, ex gollisti e socialisti. (…) I voti a l Front national arrivano in gran parte dalle classi popolari, molti dei nuovi elettori frontisti hanno votato comunista per anni. È il voto dei delusi, dei dimenticati, è il voto di un paese profondo al quale la politica non sa più parlare. (…). È un voto contro le élites politiche che giocano una piccola battaglia di apparati. È un voto contro la tecnocrazia gelida di Bruxelles da dove arrivano soltanto diktat cifrati che la gente traduce in perdita secca nella propria quotidianità”.

Certo in Italia potrebbe capitare lo stesso: in mezzo al silente e mal organizzato centro-destra potrebbero prevalere istanti di destra che convincerebbero facilmente quella vasta fascia di popolazione che ha perso le proprie sicurezze e si sente minacciata da tutto. Perfino dal futuro. C’è poi il Jolly dei 5Stelle che insieme ai voti di Salvini potrebbe raggiungere il 40% dei voti, dicono i sondaggi.

RNPS: YEAREND REVIEW 2014: POLITICS Marine Le Pen, France's National Front political party leader, reacts after being re-elected during their congress in Lyon in this November 30, 2014 file photo. REUTERS/Robert Pratta/Files (FRANCE - Tags: POLITICS TPX IMAGES OF THE DAY)

Appeso a un filo rimane il destino dell’Europa che Stefano Folli sulle pagine di Repubblica del 7 dicembre spiega così: “Qualche tempo fa Marine Le Pen irrobustì i suoi argomenti propagandistici con ripetuti attacchi alla Germania. Lo fece nel momento in cui Angela Merkel apriva le frontiere ai profughi dal Medio Oriente, un gesto che le avrebbe attirato dure critiche anche in patria. La leader del Fn ha incarnato da quel momento, in forma nitida, la seconda delle due destre in cui si divide l’Europa. Non più, o almeno non in modo prevalente, il rifiuto della moneta unica, visto che su questo punto i lepenisti hanno molto annacquato le loro posizioni, bensì la destra che vuole chiudere le frontiere, la destra anti-Schengen e anti-immigrazione che declina in forme populiste la sua rabbia contro l’ Unione europea e i poteri tecnocratici in essa incarnati”.

Per la sinistra italiana però c’è un aspetto che deve preoccupare che Folli spiega così: “Il Fn ha drenato grandi quantità di voti tradizionali della sinistra, fino a renderla irriconoscibile. Il rischio esiste anche in Italia e bisogna capire se il populismo morbido del presidente del Consiglio è la migliore barriera contro il populismo duro dei lepenisti nostrani. In Gran Bretagna il laburista Benn ha scelto un’ altra strada: parole ferme e atti di guerra contro la minaccia del Da sh. L’opposto del centrosinistra italiano. Ma questa è un’ altra storia”.

Tutto questo fa parte di una analisi di voto. Molto meno siamo attento ad analizzare i processi che lo producono. Ma questi hanno bisogno di molta serietà e verità culturale.

Mi ha fatto riflettere il fondo di Antonio Polito, del 6 dicembre quando ha scritto sul Corriere della Sera  “È il silenzio degli innocenti, più ancora del frastuono dei mitragliatori, ciò che dobbiamo temere. Il silenzio di chi non sa più che cos’è giusto e che cos’è sbagliato, e dunque non riesce più a parlare con chi invece pretende orgogliosamente di saperlo. Sul Corriere di ieri Lorenzo Cremonesi e Mara Gergolet ci hanno raccontato l’incomunicabilità tra questi due mondi osservata in una scuola di Milano, l’Istituto tecnico commerciale Schiapparelli, dove erano stati chiamati a parlare dell’Isis e delle sue origini. Di fronte ai giovani studenti musulmani che rifiutavano di discutere qualsiasi verità sull’Islam che non fosse contenuta nel Corano, perché nel Corano c’è tutta la verità, i giovani italiani tacevano segregandosi a loro volta, magari perché ignari di ciò che è scritto nel Corano, ma forse anche perché dubbiosi su che cosa sia la verità.
Non si può biasimarli. La nostra cultura, i nostri intellettuali, i nostri media, hanno da tempo perso interesse alla verità. Siamo disposti ad accettarne molteplici, spesso contraddittorie, e sempre relative. Mentre a chi cresce in una famiglia islamica viene insegnato che la verità è una ed è rivelata, una volta e per sempre, nel Corano. Al bisogno di senso della vita rispondono con un Assoluto, qualcosa che mal si concilia col dibattito in classe. Rifiutano il terrorismo, ma rifiutano anche di parlarne con noi. I nostri ragazzi rifiutano l’Assoluto, ma non sanno spiegare loro perché”.

Questo è il punto! Ma davvero sta crescendo una generazione che non sa giustificare ciò in cui crede? I padri cosa stanno trasmettendo ai figli? Si tratta di una consegna che è inscritta nella storia degli uomini.
Così, continua Politi “in Italia e in Europa, o taciamo timorosi o urliamo minacciosi. Non si è ancora formata un’opinione pubblica capace di un confronto sincero e dunque fecondo tra le civiltà, in cui si possano difendere le proprie convinzioni perché si conoscono quelle degli altri. Nelle nostre scuole del Dio del Corano non si sa nulla, e del Signore dei Vangeli sempre meno. Cosicché, se ci viene intimato di farci i fatti nostri, obbediamo.
Condizione indispensabile di ogni dialogo è che questo silenzio finisca, che riprendiamo la parola, perché non possiamo intimare quotidianamente alle comunità musulmane di parlare con noi se non siamo in grado di farlo noi stessi, se non abbiamo le certezze necessarie a definire i valori sui quali non siamo disposti a tacere. È questa la guerra culturale che dobbiamo combattere. E la prima trincea è la scuola, l’unico luogo nel quale si può combatterla disarmati”.

E’ qui che dobbiamo investire. Il futuro lo si può costruire con la forza che da la speranza, ogni paura è l’anticamera della morte.

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