Renato Corti, nuovo Cardinale. Un suo scritto a margine

La folata di vento che scompiglio' le mantelle rosse dei cardinali al funerale di papa Giovanni Paolo II, Citta' del Vaticano, 8 aprile 2005. ANSA / MAURIZIO BRAMBATTI

Per la mia generazione Renato Corti rimarrà nella memoria del cuore come il vescovo di Novara. Per chi lo ha conosciuto sa che è un uomo mite e colto, apparentemente schivo ma capace di ascoltare profondamente. Ha saputo accompagnare migliaia di giovani negli anni Novanta a fare scelte di vita importanti e decisive. Esile nell’aspetto ma deciso nel ridonare agli altri la Parola, continua ad essere un gentiluomo e un uomo di Dio. A Novara è noto il suo stile austero anche a tavola… quando insieme a lui pranzavano o cevano i preti più buon gustai si sentivano moralmente costretti a dover quasi digiunare… per poterlo imitare.

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Nominato vescovo di Novara il 19 dicembre 1990 da papa Giovanni Paolo II, è succeduto ad Aldo Del Monte, ed è diventato il 123º successore di San Gaudenzio. Termina il suo ministero a Novara il 24 novembre 2011. Nel 2015 scrive le meditazioni per la via Crucis che papa Francesco presiede al Colosseo la sera del Venerdì Santo, mentre 10 anni prima aveva predicato gli ultimi esercizi spirituali alla Curia vaticana ai quali prende parte papa Giovanni Paolo II.
È stato anche vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, vicepresidente della Conferenza Episcopale Piemontese, membro commissione mista vescovi-religiosi-istituti secolari, membro della congregazione per le Chiese orientali e membro della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
Nel concistoro del 19 novembre 2016 papa Francesco lo ha creato cardinale nel concistoro del 19 novembre, assegnandogli il titolo di San Giovanni a Porta Latina. Ecco una sua bella e breve intervista.

E’ il vescovo che mi ha ordinato il 10 giugno 2006 a Novara. Mi ricordava spesso che durante gli studi tutti pensavano diventasse gesuita, ma la voci che girava invece riguardava un suo compagno di classe, il p. Brambillasca che è già in cielo. Gli scritti di Corti non sono mai banali, la sua produzione è sterminata e sarebbe importante raccoglierli in una antologia. Quattro anni fa ha accettato di fare una breve prefazione a un volumetto che ho scritto sul p. Giuseppe Picco. Ecco cosa aveva scritto:

Ricordare p. Giuseppe Picco significa riportare nel cuore un fedele testimone di Cristo che, attraversando le nostre terre, ha lasciato un segno di eternità nella vita di tante persone.
Siamo davanti ad un gesuita che possiamo paragonare ad un piccolo curato d’Ars che ha vissuto negli anni più duri del Novecento tra le due guerre. Non ha cambiato il mondo, ma è riuscito a cambiare il cuore di chi incontrava. La sua forza è stata quella di raggiungere tutti, vicini e lontani.
Parlava poco, ma attraverso di lui ha parlato il Signore. Amava il nascondimento ma proprio nel suo nascondersi è uscita la forza e la profondità di una vita spesa per gli altri. Le terre della nostra Diocesi sono state la sua missione, ha aiutato molti nostri parroci, aspettava la gente in Chiesa e andava a visitare i malati per la confessione o per portare loro l’Eucaristia. La sua vita è ancora custodita nel cuore di tanta gente che è stata aiutata a guarire nel corpo e nello spirito dopo averlo invocato.
I segreti della sua esistenza si riducono a tre: la riconciliazione, la buona parola quotidiana, l’abbandono in Dio. Un vero programma di vita su cui anche noi possiamo rifondare il senso del nostro essere e agire.
A padre Picco chiediamo di custodire le parrocchie che ha servito, di benedire le terre che ha attraversato e di proteggere le nostre vite.

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In quel gesuita mons. Corti ha intravisto un uomo particolare e atipico. Se, in genere, i Gesuiti servono la Chiesa come professori o predicatori, scrittori o scienziati, missionari o ricercatori, confessori di uomini di governo o consiglieri di uomini di cultura, p. Picco non è stato nulla di tutto questo. Dalle parole che ha scritto poche ore prima di morire, capiamo chi ha voluto essere: “Alla mia morte prego i Superiori di non far suonare il campanone del Municipio, ma la campana dei poveri. Per vestito la vecchia sottana rattoppata e logora che trovasi in camera. Il Crocifisso dei voti si mandi in Noviziato e tra le mani una crocetta di legno. Prego e scongiuro di non fare nessun discorso al cimitero. Al catafalco in cappella bastano due candelieri”.
Lo hanno trovato steso a terra, il 31 agosto del 1946, con lo sguardo rivolto ad un quadro di San Giuseppe, di cui portava il nome e a cui è sempre rimasto devoto.

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Il 2 settembre alle sette del mattino iniziarono i funerali. I testimoni raccontano che nella chiesa dei padri Gesuiti di Gozzano erano presenti il gesuita p. Giulio Picco, fratello di Giuseppe, e “una fiumana di uomini che, dalla mattina presto, prima di recarsi al lavoro hanno voluto dirgli il loro grazie”. In una relazione di uno dei chierichetti della funzione, Enzio Ruga, conservata anche nell’archivio parrocchiale di Gozzano, si legge: “Giunti ai piedi della salita che porta alla basilica mi discostai un tantino da p. Giulio per guardare dietro e curiosare: Dio mio! Uomini di ogni ceto sociale, con cappello in mano pigiati e silenziosi. […] Nessun discorso, niente fiori, nessuna bandiera, nessuna rappresentanza di autorità, nulla di particolare, ma tanta, tanta commozione e la certezza di avere in cielo un amico potente”.
Come ogni uomo anche p. Picco è stato figlio del suo tempo. Ha dovuto accompagnare e alleviare le sofferenze di popolazioni costrette a subire due guerre mondiali, il governo anticlericale dei liberali e il ventennio fascista, senza poter vedere la ricostruzione del Paese.
Quale eredità ci lascia? Il valore del quotidiano, la cura personalis, il saper tenere uno sguardo che vada oltre la morte. Molto semplicemente. E molto profondamente. Nel raccontare la sua vita non ci sono episodi eclatanti da narrare o da meditare; non ci sono vicende di “prodigi” da raccontare. È piuttosto tutta la sua vita, il suo modus vivendi, la sua ricerca del Signore che indicano come “cercare e trovare Dio in tutte le cose” per dirla con una nota frase di Sant’Ignazio di Loyola di cui p. Picco è stato un degno imitatore.

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Per chi non lo conoscesse Giuseppe Picco nasce a Nole (TO), il 4 luglio 1867, da Gaspare e Domenica Baima che, sposatisi nel 1862, ebbero dieci figli. Giuseppe è il terzo. Prima di lui nascono Domenico (1863-1941) e Maria Teresa (1865-1867). Dopo vengono alla luce Pietro (1869-1951), Francesca (1872), Francesco (1874-1914), Giulio (1876-1956), Germano (1878-1905), Anna (1881-1902) e, infine, Luigi (1884-1904). Per ricordarlo, il Comune di Nole nel 1961 ha intitolato la via in cui nacque “Via Padre Giuseppe Picco”.

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