La comunicazione politica: tra arte, trappole e segreti

Ci sono volumi che più di altri si spingono alle soglie del tempo che si vive e lo esplorano tenendo conto dell’esperienza che si eredità.

Gianluca Giansante, già responsabile della comunicazione della Regione Lazio e docente alla Luiss, approfondisce nel suo volume, – La comunicazione politica online. Come usare il web per costruire consenso e stimolare la partecipazione, Carocci, 2014 -,  il modo in cui la Rete e l’uso delle nuove tecnologie stanno creando un nuovo modo di concepire la militanza politica, il rapporto tra eletti ed elettori e i tradizionali luoghi (sezioni, feste, conferenze) in cui la politica si è organizzata fino alla fine degli anni Novanta.

Tema attualissmo!

La proposta culturale si struttura su un doppio binario, quello interpretativo e teoretico insieme a quello esperienziale. E’ cambiato il modo di gestire il consenso politico attraverso la Rete e in maniera particolare le campagne elettorali. Meno autogestione e più professionalità della politica in Rete, afferma Giansante, perché la comunicazione politica online non sostituisce la pratica politica ma la integra. Non la sostituisce, ma la integra e la dilata.

La maggioranza dei politici italiani il più delle volte di «stare» in Rete si limitano a «utilizzare» la Rete per farsi conoscere e per esporre le loro proposte nella vetrina moderna che sostituisce i vecchi comunicati stampa. Al 72,5% dei politici che non risponde ai suoi interlocutori in Rete l’A. chiede di «riconvertire le antiche pratiche» della politica enucleando alcune regole: ascoltare e saper rispondere senza entrare in polemica (ai post, ai twitt, alle email), fornire contenuti credibili, saper gestire la propria reputazione, accogliendo i commenti negativi come un’opportunità per entrare in relazione con i cittadini a partire dai loro dubbi.

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I politici non possono prescindere da un dato: ogni giorno in Rete vengono caricati 30 ore di video su YouTube, scambiati 204 milioni di e-mail, pubblicate 80.000 fotografie su Facebook, 28.000 su Instagram e mandati 90.000 tweet. La quantità di informazione che è stata generata dall’inizio dell’umanità fino al 2003 (immagini, foto, musica, testi ecc.), — ha affermato uno dei responsabili di Google —, viene oggi riprodotta nell’arco di sole 48 ore.

Emblematico è l’esempio l’esperienza di tre giovani francesi, Liegey, Arthur Muller e Vincent Pons, che nell’estate del 2008 parteciparono come volontari alla campagna di Barack Obama. Tornati in Francia introdussero nel contesto europeo quelle pratiche basate sul ritorno della mobilitazione dal basso. Infatti il volantinaggio e le lettere convincono a votare solamente una persona ogni 100.000 tra quelle contattate. Anche le costose affissioni non hanno effetti sul voto. Per una campagna elettorale il metodo più efficace rimane il «porta a porta» che riesce a far votare un elettore ogni dieci tra quelli che vengono raggiunti. Così, i socialisti francesi alle presidenziali del 2008 sono scesi in campo con 80.000 volontari che hanno bussato a cinque milioni di porte, (quasi il 10% dell’elettorato) ottenendo risultati importanti in termini di aumento dell’affluenza. Con questo esempio l’A. ritiene che «per costruire consenso e fiducia nei confronti del candidato, per far crescere l’interesse e la curiosità intorno all’operazione, per mobilitare i volontari, per formarli a una modalità di azione nuova e per organizzare i piccoli gruppi di contatto con i cittadini».

Il volume che attraverso una chiarezza espositiva rara sistematizza concetti e corregge le pratiche «fai da te», ha anche il merito di contribuire alla riflessione culturale aprendo alcune domande. Anzitutto l’uso della Rete e del web 2.0 (blog, social network) quanto aiuta il diffondersi della democrazia e quanto invece mette a rischio i processi democratici perché li sottopone a uno stress non gestibile a causa della velocità e della quantità di informazioni?

Come è possibile distinguere la «democratizzazione dei processi politici» dalla «cultura democratica e istituzionale in Rete», che è necessaria per garantire sia il buon governo sia le condizioni su cui fondare la democrazia?

Mi chiedo infine: per far crescere una nuova cultura democratica nella Rete è più importante ricercare contenuti o persone? Per l’A. «Internet non sposta voti ma sposta le persone, […] si può coltivare un rapporto di fiducia con le persone nel corso del tempo, informare i cittadini sulle attività realizzate, sulle proprie proposte». Nella Rete è la fiducia che genera consenso non il contrario. I contenuti devono essere organizzati e gerarchizzati per formare un sapere al servizio della politica e della democrazia. Tuttavia le nuove forme di partecipazione preferiscono cercare persone con cui costruire politiche alternative attraverso blog tematici, costruirsi archivi open access e seguire alcuni opinion leader in Twitter.

Ai politici che vogliono comunicare vale l’insegnamento dei latini: primum vivere, deinde philosophari… ma con qualcuno che li aiuti come è per esempio quello ci che offre Giansante.

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