Dire “Dio” oggi

 

soleL’ateismo, nel mondo di oggi, ha preso un volto nuovo. Resta sempre quello che è stato nel passato: negazione dell’esistenza di Dio e lotta contro coloro che si ostinano a difendere la sua presenza e il suo influsso nella vita della società.
Ma in questi ultimi decenni, da anti-teismo quale esso era nel passato, è divenuto un vero e proprio a-teismo in cui Dio tende a scomparire dall’orizzonte dell’uomo e della società moderna. In altre parole Dio tende a diventare sempre più insignificante o addirittura sconosciuto nella vita delle gente.
La «morte di Dio», divenuta un «problema» nella seconda metà secolo XX, è per molte persone di oggi una «realtà» accettata come se fosse una cosa ovvia, senza incidenza nella vita.
In realtà, l’insignificanza di Dio nella vita dell’uomo comporta gravi conseguenze. Anzitutto: «Quando la gente smette di credere in Dio ― ha affermato Gilbert K. Chersterton ― non inizia a non credere più in niente ma finisce col crede in tutto». Poi, il non credere in Dio non facilita il dare senso ai problemi della vita e della morte, ma li rende insolubili. Ecco, allora, che la questione di Dio tocca le domande aperte sull’esistenza umana ma anche l’origine e il destino del mondo.

Il Dio della fede e della filosofia

luceIl primo momento è quello epistemologico (interpretativo) per saper dimostrare e credere, come ha scritto sant’Agostino, anche ciò che non si vede. Ma in che modo si può arrivare a conoscere Dio e la sua rivelazione?
Ogni uomo è chiamato a scegliere tra due alternative, già descritte da Pascal: o vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della nostra esistenza. La via che spiega l’esistenza dell’uomo e del mondo; quella che parte dall’intelligibilità della natura; e quella che assume l’esperienza etica del bene e la capacità di compierlo. Queste infatti si spiegano solamente attraverso categorie metafisiche ma non sono verificabili attraverso l’esperienza sensibile. La conoscenza puramente naturale di Dio è «possibile», non è detto che sia anche attuale.
Quest’ultima questione non può essere decisa «da un punto di vista teologico, anzi appare poco sensata, dato che è ben difficile escludere un intervento di Dio che illumini dal di dentro l’intelligenza, muova la volontà, apra il cuore a credere in lui. Ha tuttavia grande importanza la questione della validità che ha o non ha di per sé la via razionale a Dio: questa permette a credenti e non credenti di sostenere l’esistenza di Dio nello spazio pubblico».
tre-atleti-fanno-parapendioIl filosofo Robert Spaemann, si è chiesto: che cosa crede colui che crede in Dio?, afferma: l’uomo credente aderisce a «una fondamentale razionalità della realtà. Egli crede che il bene sia più fondamentale del male. Egli crede che ciò che è inferiore debba essere compreso a partire da ciò che è superiore e non viceversa. Egli crede che il non senso presupponga il senso e che il senso non sia una variante dell’assenza di senso». Credere in un Dio «buono» ma anche «potente», che guida l’esistenza umana e il mondo ed «ha in se stesso il suo fondamento, perché egli è ciò che ha senso per eccellenza, ciò che basta a se stesso» (p. 60).
Per trovare convincenti le classiche prove dell’esistenza di Dio si deve ammettere «una coscienza creatrice» che sta alla base di tutti i processi orientati ad un fine. Questi li «possiamo comprendere soltanto a partire da una conclusione, come ad esempio il volo degli uccelli verso Sud, che noi possiamo comprendere soltanto quando sappiamo che gli uccelli laggiù trovano nutrimento. Gli uccelli tuttavia non sanno questo» (p. 68).
Per Spaemann siamo costretti a pensare una coscienza che custodisce tutto ciò che accade. Una coscienza assoluta: «Nessuna parola pronunciata un giorno sarà un giorno non pronunciata, nessun dolore non sofferto, nessuna gioia non vissuta. Il passato può diradare, ma non si può fare in modo che non sia stato. Se la realtà esiste, allora il futuro anteriore è inevitabile e con esso il postulato del Dio reale» (p. 76).

Il Dio della cultura e della bellezza

In-VOLO-verso-Albe-migliori-a29875035Di Dio non si può conoscere tutto, ma ciò che su di lui si può conoscere è accessibile a tutti.
Se il nucleo della secolarizzazione delle società euroatlantiche consiste, come ritiene Charles Taylor, nel considerare la fede in Dio come un’opzione tra le altre, allora è necessario ripartire da un dato: siamo passati da una società in cui era «virtualmente impossibile non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto [credere in Dio] è solo una possibilità umana tra le altre».
Uno studio dello storico Philip Jenkins, afferma che: «Il cristianesimo sta vivendo una fase di espansione che complessivamente lo rende la religione con maggior tasso di crescita nel mondo» (p. 91).
Per essere conosciuto, il ritorno di Dio dopo l’eclisse, deve essere prima accolto come relazione familiare per poter vivere l’esperienza della « scoperta che insegna a vedere tutto con occhi nuovi» (p. 93).
La condizione per vincere l’ateismo che si ramifica nella vita sociale e nel cuore dell’uomo è quella della testimonianza che «commuove la libertà dell’altro e lo invita efficacemente alla decisione». Per questo il card. Scola propone il «martirio» come la «sconfitta di ogni eclissi di Dio», attraverso l’offerta della vita da parte di coloro che lo amano, «una consegna di sé che vince il male, perfino quello “ingiustificabile”, perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide».
speranzaIn un passo di una lettera di p. Christian de Chergé che prima di es-sere martirizzato insieme ai suoi monaci a Tibhirine (Algeria) ha lasciato scritto ai suoi assassini righe impregnate d’amore: «E anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì, anche per te voglio io dire questo grazie, e questo a Dio, nel cui volto io ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di nuovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due» (p. 104).
Mons. Gianfranco Ravasi, propone tre percorsi per rappresentare Dio: la «via figurativa», secondo cui le creature sono assunte come mo-dello estetico in quanto create a sua immagine e somiglianza; la «via antropomorfica» poiché nella Bibbia si parla della bocca e del braccio di Dio, del suo cuore e persino del suo naso; la «via della rivelazione» di Dio nel volto di Cristo.
Per mons. Ravasi anche «la bruttezza (non la bruttura) può salvare il mondo […]. La logica dell’Incarnazione comprende anche la sofferenza di Dio, il corpo martoriato, i posteriora Dei» (p. 128). L’arte va considerata come «la narrazione visiva dell’esperienza dell’incontro con un volto».
Pensata con questo significato essa può essere un mezzo di evangelizzazione importante.
La Deposizione dalla croce del Caravaggio e della Scuola di Atene di Raffaello, ben raffigurate anche nel volume. Nell’opera di Raffaello, commissionata da papa Giulio II, Paolucci vede impresso il messaggio dell’antropologia cristiana, l’immagine dell’uomo, la sua missione e il suo destino: «L’uomo deve conoscere, deve sforzarsi di capire il mondo che Dio gli ha dato: deve accettare, in libertà e senza rinunciare alla ragione, le supreme verità rivelate; deve sottostare, all’interno della società terrena, al primato della legge; deve cercare consolazione nel primato della bellezza che è un bene primario necessario come la giustizia e il pane» (p. 136).

Per riconoscere la bellezza di Dio è però necessario creare le condizioni interiori per accoglierla, come la preghiera, il riconoscimento del male, l’accoglienza del suo perdono, una vita ascetica e sobria.
254270_20A questo riguardo però il filosofo francese Rémi Brague precisa che l’uomo contemporaneo non chiede più alla religione un cammino ascetico di conversione, ma cerca la propria soddisfazione. Il moderno politeismo, in cui si è liberi di cambiare e di scegliere la via che meglio conduce a Dio, in verità è per Brague l’avvento di una nuova religione, quella del «monoteismo del soggetto, collettivo e individuale» in cui l’uomo deve rispondere solamente a se stesso. Annunciare che «Dio è morto» è dunque il passo successivo. E parte della cultura è convinta che l’inarrestabile forza della morte abbia vinto anche lo stesso Dio. Tuttavia l’uomo, ricorda Brague, ha bisogno di una religione che abbia «un dio esterno» su cui appoggiarsi per stabilire che cosa sia il bene e il male. Pensare alle tante religioni che possono governare i destini dell’uomo rischia di portare alla guerra tra le religioni che si ritengono le uniche vere. Secondo Brague invece per ritornare all’unico Dio è necessario non imporre nuove etiche ma recuperare l’idea sociale di trascendenza, riscoprire ciò che rende l’uomo veramente umano e ciò che consente la sopravvivenza della specie umana.

Dio e la scienza

universeRimane il rapporto «Dio e scienza» che pone la cosmologia come sfida nella tematizzazione intorno a Dio. Quale prospettiva emerge una domanda: quale relazione intercorre tra cosmologia e antropologia? La questione di «Dio», appartiene a questa relazione e crea un tertium con cui è necessario confrontarsi. «L’uomo scopre che il cosmo evolve, procede sempre oltre, ha una sua storia e sue leggi proprie che ne determinano il movimento, il divenire e il venir meno. Questa prospettiva condiziona non solo la sua esistenza, ma anche quella del cosmo che lo circonda». Per l’uomo di fede rimane una questione fondamentale: esiste una reciproca determinazione tra cosmologia, antropologia e teologia? La concezione che l’uomo ha di sé si trasmette inevitabilmente sul cosmo? Ed è possibile che quanto il cosmo esprime determini la visione che l’uomo acquisisce di se stesso? Dio è all’origine o del tutto fuori gioco? (Cfr p. 231).
George Coyne, già direttore della Specola Vaticana, studiando il rapporto fra evoluzione e creazione, ha ribadito che «il Dio creatore deve confrontarsi con la cosmologia moderna». È ormai riconosciuto che l’universo è in evoluzione, e che in essa è presente anche la causalità. Nel processo di trasformazione dell’energia in forme sempre più complesse di materia, sono occorsi 12 miliardi di anni perché si producessero gli elementi chimici necessari alla vita. Per questo si chiede: in tale contesto, come si deve immaginare Dio creatore della vita? Alcuni scienziati parlano di una «mente di Dio» come ultima spie-gazione delle leggi fisiche che però esclude l’intenzionalità. Ed è proprio questa mancanza, per Coyne, ad essere la vera «tentazione della nuova cosmologia» (p. 193). Dio non può essere considerato come una spiegazione, «una struttura matematica ideale, la teoria del tutto». Tutto questo non è ancora il Dio personale che continua a rivelarsi attraverso l’universo da Lui creato. Di questo pericolo è convinto anche Martin Nowak docente di matematica: «Dio non solo crea, ma mantiene in essere. Dio non si limita a fissare le condizioni iniziali […] la potenza creatrice e l’amore di Dio sono necessari per fare esistere ogni momento. Sant’Agostino ci ha insegnato che Dio è fuori dal tempo[…] un creatore fuori dal tempo porta all’esistenza l’intera traiettoria del mondo. Per il Dio fuori dal tempo, che crea e mantiene in essere l’universo, la traiettoria evolutiva non è imprevedibile ma pienamente conosciuta» (p. 201 s).

Quale Dio seguire?

felA questo punto è lecito chiedersi: «Quale Dio seguire?». Dalla Scrittura infatti emergono diversi volti di Dio a cui l’uomo è chiamato ad aderire o che può rifiutare. Anzitutto c’è il «Dio forte» dal volto pungente e duro che viene chiamato il «Dio d’oro» (Es 20,23). C’è il «Dio ignoto» degli ateniesi (Atti 17,23), quello dell’esoterismo e della magia che ha tanti adepti nel nostro tempo. Esiste il «Dio nascosto» (Is 45,15) ricercato dagli uomini che soffrono, cantato dai poeti e spiegato dai filosofi. È il Dio incontrato da Giobbe nel suo dolore che ha una carica profonda di meta razionalità e porta ad esclamare: «Ti co-noscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42,5). C’è il «Dio luce» del cap. 15 del Vangelo di Giovanni che si rende visibile attraverso l’analogia e la forza della parola. Infine c’è il «Dio amore», quello che sottolinea la personalità di Dio, che entra in rapporto con l’umanità e la creatura che soffre, sperimenta il silenzio e la lontananza dal Padre, si carica sulle spalle il male del mondo e sperimenta la morte salvando l’uomo non dall’alto della sua onnipotenza ma dalla debolezza della sua impotenza.
Se davvero credere in Dio significa dare senso alla propria vita e alla propria morte, allora la ragione con cui pensiamo Dio oggi ci può accompagnare a ripetere l’esperienza dell’uomo di fede che con le parole di sant’Agostino può dire: «Quando cerco te, o mio Dio, io cerco la felicità della mia vita» .

L’articolo nasce dal volume: COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CONFERENZA ESPISCOPALE ITALIANA (ed.), Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto, Siena, Cantagalli, 2010, 236.

Riproduzione vietata
@OcchettaFra

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