PRAXIS, L’impegno civico non è negoziabile

Insieme ad Amedeo Piva e al gruppo di Praxis ieri sera, 7 maggio 2013, ci siamo immersi nei luoghi cuore della spiritualità dei gesuiti. Ecco il suo commento e alcuni dei contenuti:

aCosa può insegnarci oggi l’esempio di Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti vissuto nella prima metà del Cinquecento?
Come può la sua figura eccezionale, carismatica, trasformarsi in traccia per quanti cercano ancora con forza un impegno civile, politico?
La risposta è emersa con chiarezza nel primo incontro del nuovo ciclo di appuntamenti di Praxis, “Il modello vincente” (LINK), partito ieri con grande seguito e successo di consensi.
“L’impegno non delegabile”, era il titolo della prima tappa proposta.

E tanti amici, nuovi e “storici”, della scuola di politica e territorio si sono ritrovati per l’occasione in una piazza del Gesù casualmente attraversata dalla Storia, percorsa dal carro che accompagnava il feretro di Giulio Andreotti dalla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini verso la sua ultima meta.

CivCattolica cp 3907_gialRelatore di eccezione dell’incontro è stato Francesco Occhetta S.I., giovane e brillante studioso e redattore della “Civiltà Cattolica”, la rivista scritta dai gesuiti che dal 1850 anima lo scenario culturale del Paese e ormai del mondo intero (diffusa anche con app per smartphone e tablet).

“C’è un modo di vivere profeticamente accessibile a tutti”, ha esordito Padre Occhetta, aggiungendo che “si può essere contemplativi nell’azione”.
I gesuiti fin dal principio hanno scelto non a caso di vivere nel cuore della città, al servizio degli uomini e delle donne – spesso tra gli ultimi – che vi abitavano.
Il motto della Compagnia di Gesù, “Ad maiorem Dei gloriam” significa infatti “per una gloria di Dio sempre più grande”.
bIl che implica, come ha ben chiarito Padre Occhetta, “diventare e formare persone responsabili, senza aver paura dei cambiamenti, e fare non sempre più cose, ma farle sempre meglio”.

E questo non sarebbe uno splendido insegnamento per tutti noi cittadini e per la politica che ci rappresenta?
Strumenti di azione di Ignazio, così come lo sono ancora oggi dei gesuiti, erano “la preghiera, lo studio, la testimonianza personale e il servizio”. In uno scenario anche a quel tempo tutt’altro che semplice, con la Chiesa travagliata dalla lacerazione luterana e colpita dalla sua stessa decadenza.

Eppure.

Durante la visita alle stanze dove Ignazio trascorse gli ultimi anni della vita, dal 1544 al 1556, era impossibile non essere toccati dalla energia e dal nitore che ancora sprigiona il ricordo del suo passaggio.
A partire dai segni esteriori: dalla povertà del pavimento della sua stanza, riportato alla luce nella conformazione originaria nel 1991, fino alla semplicità del dipinto con la Madonna, il Bambino e San Giovanni Battista davanti al quale Ignazio celebrava l’Eucaristia così spesso descritta nelle sue memorie.

Quello che emerge è la forza di un uomo che non ha mai smesso di praticare la faticosa disciplina del “discernimento” (parola tanto cara al nostro Felice Celato, che così ha intitolato il suo blog LINK), capace di “costruire buone relazioni facendo verità”, come ha spiegato Padre Occhetta.

Non un messaggio consolatorio per andare a dormire più sereni, piuttosto un invito cogente, che non può lasciare insensibili, a recuperare quella forza del cuore e dell’intelligenza che permetta – come i gesuiti non smettono di fare nei loro esercizi – di “orientare l’intenzionalità verso un obiettivo”, senza troppi tentennamenti.

cCon coraggio, perché “nei tempi di desolazione non bisogna cambiare mai le scelte prese in tempi di consolazione”, come ricordava ai suoi il Santo di Azpeitia.
E dunque, cosa ci insegna oggi Ignazio? Intanto a “proseguire verso il futuro prendendo la rincorsa”, per parafrasare la prefazione della “Civiltà Cattolica” alla edizione rinnovata della rivista, “andando indietro, per avere più forza per correre avanti”.
A non gettare via tutto, come tanti scriteriati pure invitano a fare, giusto per il gusto del falò purificatore. Ma a recuperare quella “restanza” che Giuseppe De Rita, citando il filosofo Derrida, ha richiamato qualche tempo fa alla nostra attenzione.

Dopo la visita alle stanze di Ignazio, Padre Occhetta ha accompagnato gli amici di Praxis, attraverso un percorso nella sacrestia, nella splendida chiesa del Gesù. Una struttura “rivoluzionaria fin nell’impianto, dove lo spazio sacro ha inizio dall’ingresso”, ben prima di giungere al presbiterio che invece è contenuto, quasi ridotto all’osso, “per non togliere spazio alla predicazione”.

L’incontro si è concluso con la strabiliante “apparizione” della statua di Ignazio, posta nella cappella che ospita le reliquie del Santo e solitamente celata alla vista dalla pala di Andrea Pozzo con la “Visione della Storta”.

dPadre Occhetta ha chiuso la serata citando la frase incisa sulla tomba del fondatore della Compagnia di Gesù: “Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est”. In una traduzione non letterale, ma efficace, “non essere limitati da ciò che appare molto grande nella vita, ma essere contenuti da ciò che è minimo: questo è divino”.

Una disposizione dell’animo alla misura, alla ponderazione, che ancora oggi suona come un invito saggio per quanti si vogliano accostare ai problemi di questa nostra controversa società, per cercare di risolverli”.

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