Il discernimento dei gesuiti (II regola)

II regola del discernimento

Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene cosa capita nella profondità della nostra vita spirituale?

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Scrive Sant’Ignazio di Loyola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, è proprio del messaggero cattivo bloccarti con rimorsi, tristezze, impedimenti, turbamenti immotivati che paiono motivatissimi, perché tu non vada avanti. E’ proprio invece del messaggero buono darti coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispirazioni e pace, rendendoti facili le cose e togliendoti ogni impedimento, perché tu vada avanti (Esercizi Spirituali, n. 315).

Quando ti impegni a cambiare vita, lasciando piaceri o abitudini che ti svuotano e ti umiliano, come parlano le voci interne del nemico, quelle che ci vogliono dividere e come parlano invece le voci del bene?

La prima cosa da non dirsi è: “sono fatto così”, oppure “mi piacerebbe tanto ma è impossibile cambiare”.

Quando ti convinci a fare il bene, c’è una parte di noi che può entrare in una trappola: ascoltare quelle voci nemiche che parlano attraverso sentimenti negativi che ti bloccano. Dio, al contrario, ti parla con sentimenti opposti, per spingerti ad andare avanti facendoti sentire una forza che ti dice “sono con te!”.

“Il nemico della natura umana”, come lo definisce Ignazio di Loyola, quando decidiamo di fare il bene o semplicemente di cambiare vita o abbandonare alcune dipendenze, cambia la sua strategia: ti fa apparire male il bene, per confonderti e lasciare i buoni propositi; ti inganna con mille ragioni, ti fa sentire senza forza, triste, incerto, scoraggiato… perché cambiare vita, liberarsi dalle dipendenze che attanagliano la vita per fare il bene sembra impossibile?

La prova dunque è questa: se vuoi fare il bene che desideri e ad un certo punto ti scoraggi e smetti di farlo è perché il nemico ti ha vinto!

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Dio invece ti invoglia al bene con la sua consolazione: ti dà coraggio e gioia, forza e lucidità, pace e fiducia! E ti fa avvertire nel tuo cuore una voce che dice: “forza è possibile”! Non si sostituisce a te, ma da la lucidità che i sacrifici che si dovranno fare porteranno buoni frutti.

Rispetto alla prima regola, qui cambia il campo da gioco: nel male il nemico ti incoraggia e Dio ti scoraggia, nel bene il nemico ti scoraggia e Dio ti incoraggia.

Quando serviamo il male e diventiamo schiavi il nemico non ci attacca, anzi ci fa stare temporaneamente bene, ma quando nota che vuoi uscirne per riprenderti la tua libertà allora ti scatena una guerra.

Essere tentato non è peccato (l’allontanamento e la rottura della relazione con Dio), anzi la tentazione inizia quando vuoi fare il bene. Il libro del Siracide è fin troppo chiaro: “Figlio se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1).

Capito questo, cioè che voglio fare il bene, è necessario porsi un’altra domanda: ma cosa è il bene? L’apostolo Paolo sottolinea la tensione tra la conoscenza del bene e la sua realizzazione: Nella lettera ai Romani al capitolo 7 egli scrive: “Fratelli, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra”.

Ne segue che la prima tentazione, tipica per chi inizia, è quella di dire: “Non ce la faccio. Andare avanti così non riuscirò mai”.
È stata l’esperienza del popolo di Israele che mentre camminava sulla via della Terra promessa, la via del bene, disse: “stavamo meglio quando stavamo peggio, almeno in Egitto si mangiavano le cipolle”.

Rimane una domanda da farsi: come faccio a distinguere le due voci? Dal risultato! Dai frutti! Una ti blocca e ti confonde e l’altro ti spinge ad “andare avanti” nel cammino della libertà e di ricerca della pace interiore.

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I primi pensieri di sfiducia sono da vincere e da respingere. Se distingui con cura le voci del tuo cuore vedrai che sotto quelle chiassose del male sono depositate quelle di bene che ti danno coraggio, serenità e pace.

Nella lettera ai Romani Paolo descrive la lotta interiore tra bene e male come luogo dell’esperienza della salvezza di Cristo.

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1 comment

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    Se vediamo la vita come un cammino verso un bene più grande, totalizzante che ti cambia dentro, allora siamo più disposti al cambiamento e sappiamo che nulla resta fermo. Ogni nostra esperienza serve per imparare qualcosa di nuovo per noi e per chi ci sta accanto; siamo più disponibili ad aprirci al prossimo anzi, diventa una necessità guardare gli altri con occhi di bene. Sentire la frase “sono fatto così” (e sono tante le persone che lo dicono) mi da dispiacere perché significa arrendersi senza aver giocato la partita. Nella mia vita ho capito che la felicità si chiama Gesù, e per tante difficoltà io possa trovare sul cammino io voglio stare vicino Lui. Grazie Cristina

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