Le disuguaglianze, le ferite della democrazia

Disuguaglianze

Riporto qui l’intervento scritto in occasione del Convegno di studi delle Acli ad Arezzo del 17 settembre 2015, “Ridurre le diseguaglianze per animare la democrazia”.

Grazie per avermi invitato, Presidente Bottalico, al vostro convegno di studi . Il tema che mi è stato affidato “Disuguaglianze, democrazia e cristiani” è ampio e complesso.

Il termine disuguaglianza è un po’ come l’ente di Aristotele, si può dire in molti modi.
Per il magistero sociale della Chiesa però ha almeno un connotato specifico: si riferisce alla possibilità di accesso che hanno gli ultimi, nel mercato del lavoro, alla giustizia, ecc.

Per la Chiesa le due parola antidoto alle disuguaglianze sono comunione e comunità. La chiesa ribalta la prospettiva in cui si guardano i problemi da risolvere: non dall’altro verso il basso ma dal basso verso l’alto, è da lì che nascono politiche inclusive. In uno slogan: con i poveri e contro le povertà.

La prima dimensione per immergersi nel rapporto democrazia/disuguaglianze è spirituale. Attiene al telos, alla finalità con cui si sceglie.

Nel Vangelo vede chi conosce interiormente… la prima azione da compiere è la lettura attenta del contesto che è profondamente cambiato.

  1. La gente celebra la vita nei centri commerciali;
  2. Nel Paese ci sono 133 slot machine su 1000 e questo prelievo indiretto lo paga la povera gente che ha trasformato l’idea di sacrificio con la scommessa che può cambiare la vita.
  3. 6 giovani su 10 vogliono partire
  4. 6 milioni di italiani vivono in una situazione di povertà assoluta, nel 2007 erano 2,4 milioni.
  5. La frantumazione della classe media e degli enti intermedi
  6. Come sai il divario sta crescendo esponenzialmente tra te e i tuoi lavoratori: nel 1960, prima della crisi, un manager guadagnava 4 volte più di un lavoratore; negli anni Settanta, ha iniziato a guadagnare 40 volte di più; nel 2000, invece, si è arrivati a stipendi 500 volte maggiori del salario medio della classe lavoratrice. Dico: 500! Marx prenderebbe un infarto…. invece il nostro tempo tace.
  7. Le scelte sono a tempo ma i tatuaggi che marchiano la nostra carne sono “per sempre” (13 italiani su 100 si tatuano) e sembrano un paradosso in un periodo in cui ogni scelta è “a tempo”.
  8. La perdita del patto generazionale tra giovani e adulti. Per quale motivo, per esempio, i responsabili di molti studi professionali, quando un giovane fa bene il suo lavoro, è responsabile ed ha superato un giusto periodo di prova e di tirocinio, viene retribuito da te con 500/600 euro? Spesso le ore che un ragazzo passa nel tuo ufficio sono tra le 8 e le 10. A volte per un “controllo sociale” dei colleghi, anche se ha terminato il proprio lavoro, rimane sul posto di lavoro per emularsi… Giovani incapaci di far sacrifici perché li si dà tutto e si proiettano su di loro tutta l’aspettativa di genitori oppressivi.

Per uscire devi però convincerti di un inganno: i consumi e l’«usa e getta dei legami sociali» non possono essere «considerati come unico modo per cercare la felicità e liberarsi dei conflitti sociali e politici.

La vita spirituale di un’associazione come le Acli deve continuare rifecondare l’agire sull’arte del discernimento per chiedersi:
1. quale identità abbiamo in questo contesto?
2. cosa facciamo a partire dai più poveri?
3. qual è la nostra intenzionalità morale che deve saper tenere insieme interessi buoni con finalità buone?

 

Il rapporto con la democrazia

Siamo un periodo di passaggio in cui bisogna capire come fondere armoniosamente tre modelli di democrazia: quella rappresentativa, quella della Rete e quella diretta.

Per farlo

  1. Il rapporto laicità e fede nello spazio pubblico in un contesto culturale che non è più a maggioranza cristiana
  2. La cultura post-umana che si sta imponendo su quella umanistica
  3. Il rapporto con l’islam (cosa significa lavoro per loro)

Partiamo da una domanda: perché le piazze sono assopite e ignorano le riforme ma si risvegliano sui temi che toccano il soggettivismo?

Temi come l’inizio e la fine della vita, il gender e la gestione politica dei farmaci per il miglioramento delle prestazioni cognitive, il rapporto uomo/tecnica sono disciplinati a colpi di sentenze della magistratura mentre il Parlamento non riesce a trovare argomentazioni e soluzioni condivise.

A provocarvi è l’antropologia del postumanesimo secondo cui la tecnologia, più che la scienza, ha distrutto l’idea di una natura immutabile dell’uomo, rendendo l’essere umano un essere capace di essere modificato.

Regredisce la nozione di persona che è per i costituenti l’uomo che in relazione ad altri entra nella vita della società e diventa persona.

L’umanesimo politico e antropologico non sono più una condizione «pre-politica» accolta dalle forze politiche.

Natura e cultura hanno divorziato e l’uomo non lo riusciamo a definire univocamente…

Quello che nella storia era un dato acquisito oggi sembra essere svincolato dalla costituzione biologica della persona; il dato, secondo alcuni, dipende da un costrutto culturale che include di volta in volta i diritti rivendicati e pretesi dal singolo soggetto.

Ecco la tesi che si sta diffondendo: maschi e femmine si nasce, uomini o donne si diventa?

Agli inizi degli anni Ottanta il Times esce con un titolo Man of the Year. Le qualità del vincitore: è giovane, affidabile, silenzioso, pulito e intelligente. È bravo con i numeri e insegnerà o intratterrà i bambini senza un lamento. Era l’elogio a un computer e non a una persona. L’umanità doveva riconoscere la sua sconfitta.

È l’umano che lascia spazio al postumano.

Quello che il movimento postumano contesta in maniera decisa è l’esistenza di un’idea di umano e di umanità che sia immutabile. 

Così l’imperativo morale, nel postumanesimo, diviene: «Devi farti carico della tua costituzione biologica modificandola a tuo piacimento».

Ma come si traduce in norma tutto quello che ci sta dietro sapendo anche dei forti interessi???

Facciamo un altro esempio. Se le ragioni a valle del divorzio breve che servono per alleviare le sofferenze delle parti deboli, salgono a monte… allora tra qualche anno il matrimonio sarà qualcosa di privatistico regolato da patti prematrimoniale.

A pesare sempre meno, a favore della libertà individuale, sarebbe la responsabilità sociale, eppure, il ruolo fondamentale di sostegno e di aiuto dello Stato al matrimonio si fonda proprio sull’aspetto sociale, ed è sulle categorie di reciprocità e di persona che si fonda il matrimonio pensato dalla Costituente come “cellula e patrimonio della società”.

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La vocazione cristiana delle Acli

La laicità è un modo di vivere lo spazio pubblico.

È interessante scoprire negli atti della costituente che la laicità si fonda sul principio di libertà religiosa degli art. 7 e 8. Non il contrario. Nello spazio pubblico entrano le varie credenze. Al centro del pensiero lapiriano c’era la società, non lo Stato.

«Laicità» non significa assenza di simboli, ma capacità di accoglierli e sostenerli; Sono noti i due modelli che si contrappongono, quello americano e quello inglese.

Mi limito a due esempi.

I gesuiti in Francia abbiamo una facoltà e una enorme chiesa che per la legge di laicità francese non si vedono dal di fuori e sono nascoste da una falsa facciata di un palazzo. La laicità è un’ossessione ma per celebrare la vita e la morte vanno nelle cattedrali perché il Pantheon non basta più.

Un mio professore spagnolo non credente che insegnava bioetica mi diceva: “Ogni scelta legislativa nasce da una credenza”. Per la tradizione a cui appartengono le Acli la democrazia non è solo procedura: ma è sostanza.

Allora per una laicità matura occorre: che la religione non sia l’antidoto fondamentalismo e nella ricerca d’identità.

La nota sentenza della Corte costituzionale n. 203/1989 che riconosce esplicitamente il valore delle esperienze religiose come elementi vitali della democrazia, ma aggiunge: «alla condizione che [le religioni tra loro] accettino il pluralismo», valorizzando cosi il pluralismo confessionale e culturale delle Chiese e delle opinioni e favorendo un clima di dialogo tra credenti, e fra credenti e non credenti.

In particolare per Scoppola: «La laicità non riguarda solo gli Stati, le leggi, il modo di essere delle istituzioni: la laicità e prima di tutto un modo di vivere l’esperienza religiosa a livello personale e interiore; se manca questa condizione interiore anche gli aspetti istituzionali della laicità ne risulteranno indeboliti e alla fine compromessi».

Oggi Laicità si definirà anche in base al senso dell’integrazione.

Ai musulmani come cittadini che fanno parte di un contesto globale, abbiamo il diritto e il dovere di rivolgere delle domande fondamentali, dal punto di vista teologico e giuridico, ma anche spirituale e personale, nel pieno rispetto del Corano e dell’osservanza dei precetti di fede.

  1. Cosa è per voi la laicità dello Stato e la separazione tra religione e politica?
  2. Come conciliate la vostra appartenenza a una comunità religiosa a una comunità civile in cui nessuna religione può esercitare un predominio?
  3. E quali doveri sentite di dover assumere o faticate ad assumere?
  4. Quale apporto potete dare, a partire dalla vostra fede, alla costruzione della pace, a livello locale e a livello globale?
  5. Come capite i diritti umani e in particolar modo come capite la libertà religiosa, di coscienza, di parola?

C’è una strada sola per ridurre le disuguaglianze: armonizzare le tensioni di quelli che sono stati definiti i 7 grandi peccati dell’Occidente sostituendo i senza con altrettanti con: “Benessere senza lavoro; educazione senza morale; affari senza etica; piacere senza coscienza; politica senza principi; scienza senza responsabilità; società senza famiglia (e fede senza sacrificio)”.

È in questa prospettiva che ci si divide non tra uomini religiosi e non o tra credenti e non credenti ma tra esseri morali e non, tra coloro che si fanno carico della dimensione della fraternità e coloro che la rifiutano. Il futuro è solo nella convivenza!

Sono dunque necessari contenuto e metodo ma anche una nuova ermeneutica, luoghi e formazione. Le disuguaglianze a volte si attanagliano da inerzie o vecchi schemi sociali. Al contrario invece Le Acli possono accompagnare le riforme che aiuterebbero la riduzione delle disuguaglianza proprio a partire dalle grandi riforme nel Paese. Tra queste c’è quella urgente, a mio modo di vedere,del Terzo Settore che però chiede alle Acli una conversione culturale

  • per eliminare definitivamente la mentalità assistenzialistica
  • premiare il profitto degli imprenditori sociali orientato alla costruzione del bene comune e con vocazione sociale
  • non avere paura di una riforma fiscale e giuridica che equiparerebbe le associazioni, patronati ecc. alle responsabilità delle società.

 

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Leggi un approfondimento di Famiglia Cristiana

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