Parole di vita: Haraga

Haraga                                          Italia, 2009

Sei arrivato da lontano.
Hai attraversato frontiere, distrutto documenti,
sepolto il tuo nome prima del passaggio.
Poi hai cancellato la pelle dei polpastrelli
che hanno toccato madre, amante,
e la tua terra quando era più dolce.
Nella cera bollente. Haraga: quelli che si sono bruciati.
Quel battito sarà sempre più forte
ora di quello che ti pulsa in petto.
Solo impronte e storie rimaste a tracciare i passi del tuo addio
al di là dell’altopiano, del bassopiano,
fino alla barca che fa acqua, al container soffocante, al filo spinato,
fino al tuo arrivo qui, dove
vogliono a ogni costo sapere chi eri prima
per rispedirti indietro.
Senza documenti sei tutto e niente,
banco di prova per l’acre verifica di un altro paese.
Senza pace ora, tabula rasa, nemico apolide
di coloro che hanno labbra e dita leggibili.

Xeno: straniero, estraneo, ospite,
anche se il mio paese ti dà la caccia,
sei benvenuto a casa mia. I miei amici ti difenderanno in tribunale
ma non potremo fare molto per la memoria ustionata delle dita
e il tuo cuore di frontiera.
Fino a quando il Dna non ti riporterà alla città ferita, ai parenti morti,
questa porta rimarrà aperta.
Resta fuori, se non credi a queste parole,
oppure, anche per poco, entra dentro.

(da Other Signs, Kwela Books 2011).

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