La donna non si violenta, si accarezza

Il 25 novembre si celebra la giornata contro la violenza sulle donne. E’ una conquista che non divide le donne dagli uomini, ma tra chi è violento e chi ama, tra chi colpisce l’altro e chi accarezza.

La Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla «Eliminazione della Violenza contro le Donne» (1993) definisce la violenza contro le donne come «qualunque atto di violenza in base al sesso, o la minaccia di tali atti, che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali, o psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata delle donne».

Si tratta di una definizione teorica ampia, certamente soggetta ad interpretazione ma che si è resa necessaria sia per difendere le vittime da una forma di violenza diffusa e taciuta, sia per obbligare gli Stati a riconoscere nelle loro legislazioni la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani.

La violenza domestica sulle donne può insorgere in qualsiasi momento della relazione: a volte esplode subito, a volte coincide con la nascita di un figlio; altre volte invece nasce dopo molti anni di matrimonio.

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In Europa la violenza domestica, che viene definita «femminicidio» è la principale causa di morte fra i 15 e i 60 anni.

Le testimonianze raccolte dall’Oms, come ad esempio quella che citiamo, ne indicano la gravità: «I colpi che mi dava erano sempre più forti […]. Al principio si limitava ad attaccarmi in casa, ma a poco a poco, non gli importò più. Mi schiaffeggiava davanti agli altri e continuava minacciandomi. […] Ogni volta che mi attaccava, era come se stesse mettendo a prova la mia capacità di sopportazione, per vedere quale fosse il mio limite».

Gli studiosi sono concordi nel ritenere che la violenza può iniziare da uno schiaffo per arrivare persino all’omicidio: «Iniziò con una sberla poi mi ruppe tutti i denti. Mi bruciò la pelle con un attizzatoio. Sul mio corpo spruzzava petrolio per poi lanciarmi cerini accesi».

Sembrano testimonianze irreali, invece una serie di studi di ricerca stimano che le donne che hanno avuto esperienze di violenza domestica siano, a seconda del Paese, tra il 20 ed il 50%. Le statistiche sono preoccupanti in qualunque angolo della terra si volga lo sguardo.

Sorprendente nella sua «normalità», è il caso citato dal Rapporto di Amnesty International di qualche anno fa, testimoniato da una ragazza svedese di 23 anni: «Papà era sempre violento. Picchiava la mamma perché la cena non era condita come lui voleva o perché lei aveva detto qualcosa che non gli era piaciuto […]. Noi bambini tentavamo di proteggere la mamma rannicchiandoci sul suo grembo in modo che lui non potesse raggiungerla, ma a quel punto la picchiava da dietro […]. I miei genitori sono entrambi laureati ed è importante sottolinearlo, dal momento che molte persone pensano che soltanto un certo tipo di uomo possa usare violenza».

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In genere il partner violento agisce in modo da creare un clima di tensione e di isolamento mediante minacce, divieti, colpevolizzazione e denigrazione della donna: con queste condizioni si scatena l’episodio di violenza.

I dati dell’Unicef sia dei Paesi industrializzati, sia di quelli in via di sviluppo, forniscono una panoramica della dimensione globale del problema: nel Canada il 29% delle donne (campione rappresentativo su scala nazionale di 12.300 donne) ha dichiarato di aver subito aggressioni fisiche dai 16 anni in poi da parte del partner attuale o precedente; in Giappone il 59% di 796 donne interpellate nel 1993 ha dichiarato di essere stato oggetto di maltrattamenti fisici da parte del partner; negli Usa il 28% delle donne (un campione rappresentativo su scala nazionale) ha dichiarato di aver subito almeno una volta atti di violenza fisica da parte del partner.

Ma c’è di più: l’associazione medica americana stima che ci siano dai 3 ai 4 milioni di donne maltrattate dal proprio marito o compagno, mentre il 50% delle donne assassinate negli Usa vengono uccise proprio dai loro attuali o ex-conviventi.

Rimane poi la violenza domestica legata ad alcune tradizioni religiose, contrarie ai diritti umani. A questo proposito ricordiamo solo alcuni drammatici esempi: in Iraq un decreto del 1990, (abrogato dopo alcuni mesi su pressione della comunità internazionale), permetteva agli uomini il diritto di agire come giudici ed esecutori materiali verso le donne della loro famiglia per «ragioni di onore». In Egitto, gli uomini possono essere assolti per aver ammazzato la moglie trovata in flagrante adulterio, mentre le donne egiziane che compiono lo stesso atto possono incorrere nella pena di morte. In Pakistan esiste il delitto di «zina», cioè di relazioni sessuali extramatrimoniali, che comporta la pena della flagellazione pubblica o dell’incarcerazione.

Nonostante la dimensione mondiale e la gravità del fenomeno della violenza domestica, purtroppo nella stragrande maggioranza dei paesi musulmani lo Stato, la religione e la società nel suo complesso non riconoscono la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e per questo non attuano strategie adeguate per contrastarla, mancando, in questo modo di attuare le Convenzioni internazionali ratificate.

imagesQuesto tipo di violenza è molto presente anche nel nostro Paese. Nei primi mesi del 2007 le donne uccise sono state 57, mentre i dati della polizia registrano 141 tentati omicidi, 10.383 vittime di lesioni, 1.805 casi di abusi e violenza sessuale.  Secondo i dati degli ultimi cinque anni, vengono uccise una media di 100 donne all’anno, facendo sì che l’omicidio in famiglia superi, in termini numerici, il numero di omicidi della criminalità organizzata.

E’ per fino troppo chiaro che chi violenta manca di equilibrio psichico e la società deve farsene carico per curarli. Sul piano nazionale la violenza domestica può essere limitata con seri piani sulla sicurezza che sappiano coordinare le norme del diritto civile con quelle del diritto penale. Ma c’è poi una dimensione affettiva da recuperare dove l’altro non è oggetto dei propri bisogni ma è il soggetto per relazionarmi e diventare persone vere capaci di accarezzare la vita dell’altro.

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