Il giornalismo italiano e l’Osservatorio di Mediaetica dell’Ucsi

L’Osservatorio di Mediaetica che l’Ucsi (Unione Stampa Cattolica italiana) ha fatto nascere circa un anno e mezzo fa è anzitutto “un luogo” e una “rete di relazioni” viventi che si fermano per riflettere e discernere i temi del rapporto democrazia-informazione.

È vero, quando un termine contiene la parola “etica” è visto con sospetto. L’Osservatorio anzitutto non è lo strumento che sostiene e modella la visione di uno “Stato etico”. Non è nemmeno la pretesa di alcuni giornalisti di auto costruire un tribunale della comunicazione o una sorta di nuovo sillabo, che definisca ciò che è etico e ciò che non lo è.

Nel cuore del documento programmatico scritto dall’Ucsi si chiarifica la missione dell’Osservatorio: “vuole anzitutto essere uno strumento di servizio che possiamo offrire alla professione e alla società italiana per monitorare e comprendere la coerenza, la trasparenza e la reputazione su cui si fonda la credibilità del giornalismo, e quella delle altre professioni di comunicatori. Il significato di etica, che rimanda a valori condivisi che rendono l’esperienza pienamente umana. Ciò che rende la nostra professione degna di essere vissuta, o la umilia se non viene praticato, è dunque il prestare attenzione (cioè capire, scavare, approfondire, confrontare, non accontentarsi delle informazioni superficiali; controllare le fonti, gerarchizzare) lo stupirsi (cioè mettere in relazione i contenuti appresi con le proprie esperienze e i propri valori, coinvolgersi personalmente, non subire l’omologazione) e la narrazione (cioè il dovere di carità che consiste nel non tenere le cose per sé ma nel trasferirle agli altri, e il dovere di saperlo fare dominando senza incertezze i linguaggi e le tecniche necessari per questa comunicazione). E naturalmente, il rispetto rigoroso verso le persone, a cominciare dai più deboli”.

L’orizzonte su cui si fondano le categorie interpretative dell’Osservatorio sono i principi democratici inclusi nella Carta costituzionale e quelli della dottrina sociale della Chiesa che offrono una definizione di persona e di società spesso condivisa anche da parte della cultura laica e non credente.

Dunque il punto di partenza dell’Ucsi non è neutro, affonda le sue radici nell’insegnamento sociale cristiano. Esso non si impone come confessionale, né propone soluzioni concrete ma offre un quadro di principi entro cui muoverci e una metodologia di tipo induttivo, che parte dalle esperienze e dai problemi concreti che nascono nella storia e tra le culture, dai quali è possibile far emergere i principi in gioco. I principi vengono compresi dalla rilettura dell’esperienza che vive il mondo della comunicazione oggi.

Roma. Consiglio Regionale Straordinario

L’Osservatorio di Mediaetica e le esperienze all’estero

L’Osservatorio non è nato come un fungo ma dalla comparazione delle esperienze gemelle esistenti in ambito europeo e nordamericano. In estrema sintesi se volessimo riassumere di cosa si occupano i soggetti che abbiamo monitorato potremmo riassumerle nel modo seguente: producono position papers sulle specifiche questioni etiche che sorgono o sull’interpretazione dei Codici deontologici di autoregolamentazione; elaborano insieme ad altri organismi, di Case Studies in materia di media etica; gestiscono blog e/o newsletter dedicati alla Mediaetica monitorando gli errori (news media watchdog); approfondimento specifico della Mediaetica nel digitale; creazione di una rete di links, segnalazioni articoli e libri, ecc. sull’argomento della Mediaetica); organizzazione di corsi di formazione alla Mediaetica e appuntamenti periodici atraverso conferenze, convegni, giornate di mobilitazione; forniscono questionari/interviste agli addetti ai lavori specialmente on line.

Un servizio per “il servizio pubblico”

Nel dibattito interno all’Ucsi l’interesse per un Osservatorio di Mediaetica anzitutto il fine di migliorare la qualità delle professioni dei comunicatori. In più di un’occasione sono emerse alcune grandi domande di fondo per definire ciò che è “servizio” e ciò che è “pubblico” oggi: esiste uno standard di qualità professionale? In quale modo definirlo? Come misurarlo? Come farlo crescere?

Il tema degli standard è affrontabile, cercando un equilibrio tra qualità e quantità, che mirano a descrivere pragmaticamente quei caratteri applicabili alle diverse forme di comunicazione che garantiscono qualità, partendo da quelle di maggiore rilevanza sociale. Gli standard infatti vanno definiti in relazione al progetto di comunicazione, ai suoi obiettivi espliciti.

Scrive Andrea Melodia: “Nella famiglia degli standard di televisione, ci potrà essere uno standard applicabile al servizio pubblico (per esempio: diffusione universale, target non escludente, limiti e controllo qualitativo nella comunicazione pubblicitaria, logiche educative, attenzione ai minori, attenzione ai futuri e nuovi cittadini, …) e un altro alla TV commerciale, uno standard per l’informazione dei canali all news, ecc. Ma è anche possibile che si prefiguri uno standard minimo di qualità per tutti i media sotto cui non si può scendere”.

Questo ad esempio è uno dei pilastri che l’Osservatorio vuole approfondire e che richiede alleanze con il mondo dell’università e della professione per definire standard condivisi.

Per accelerare il cammino…

L’Ucsi a livello nazionale ha già organizzato parecchi eventi e solcato un terreno in cui vanno gettati i semi della cultura. Anzitutto nella sede dei gesuiti della Civiltà Cattolica ha riunito più di una volta i principali responsabili della comunicazione italiana includendo anche i gruppi Ucsi regionali.

La rivista Desk sta gradualmente affrontando tematiche che monitorano la Mediaetica come quello sull’informazione politica, i social media, l’informazione religiosa ecc. Altri temi che stanno a cuore all’Ucsi e sono pronti per essere approfonditi sono quello dei giovani nelle professioni di comunicatore, la questione delle fonti e internet, l’informazione medico-scientifica, la crossmedialità e transmedialità e altri ancora.

Il futuro dipenderà molto sia dall’impegno delle Ucsi regionali se sceglieranno di proporre e sviluppare i temi della Mediaetica, sia dalla qualità della ricerca scientifica e della proposta on-line che riusciremo a elaborare.

Mediaetica è un processo culturale che si è aperto. Nessuno ha la risposta di come si conformerà ma tutti siamo certi che è un seme gettato dalla totale gratuità di chi vi partecipa; sarà camminando che si apriranno cammini come direbbe il poeta Machado.

È per questo che vale la massima degli antichi comune: Non multa sed multum, che significa non molte [cose], ma [farle] molto [bene].

Per leggere l’intero articolo vedi il numero di DESK “Mediaetica e informazione”. Anno XXI, 2-3/2014.

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