Opinioni o notizie? Giornalisti ma dove siete?

Fermiamoci un istante, pacatamente. L’anno è appena iniziato, i motori si stanno riaccendendo, in molti angoli della terra molti popoli vivono sotto regimi antidemocratici, poi dopo le dichiarazioni dei Presidenti Trump e Kim il mondo è minacciato da una guerra nucleare che sarebbe devastante per tutti. L’Europa avrebbe bisogno di riforme strutturali, solide e condivise per riaffermare il suo ruolo di potenza di pace e di diritti, mentre i temi aperti in Italia sono quelli noti: il lavoro, la giustizia, l’integrazione degli immigrati e altri temi ancora.

Invece apri Facebook o Twitter, cosa leggi? Il dibattito sui sacchetti di plastica. All’inizio pensavo fosse una sciocchezza, pensandoci meglio credo sia un sintomo di qualcosa di più grande. Il modo e il merito dicono che il Paese è sbilanciato a frenare ogni cambiamento possibile. Lo ribadisco il tema tocca il modello di sviluppo e l’economia ma anche il tema della rappresentanza politica.

Quale ruolo per politici e giornalisti?

In questo caso molti politici invece di spiegare quello hanno approvato, hanno dato ragione a critiche infondate che vanno contro quello che hanno votato. Ma così si scredita una intera classe politica. I media nazionali che inseguono i social, invece di ricostruire la notizia fanno da eco alle opinioni. E il valore del servizio pubblico nel giornalismo che costruisce l’opinione pubblica e fornisce elementi per votare? Prima le notizie e dopo le opinioni, altrimenti se le notizie devono servire le opinioni di turno entra in crisi l’identità narrativa di una cultura.

Andiamo con ordine per definire il tema e chiudere con una considerazione. La grande bufala si poteva smontare almeno in due punti:

a. il Parlamento ha recepito una direttiva Europa del 2015 (la 270) che tende a disincentivare, per evitare l’inquinamento ambientale, l’uso della plastica, anche quella in materiale leggero usato per frutta e verdura nei supermarket, e ad evitare una procedura d’infrazione molto salata già avviata lo scorso anno da Bruxelles.

b. non è stato un premio del Governo ad amici in regime di monopolio dato che sul mercato operano 150 aziende per un totale di 4 mila dipendenti. 

Ribadisco quello che ho scritto su facebook: in Italia si producono 10 milioni di tonnellate di rifiuti organici, di cui sei milioni vengono riciclati. Se TUTTI utilizzassero sacchi biodegradibili e combustibili, ci sarebbero quattro milioni di tonnellate di rifiuti organici in più e una drastica riduzione di gas serra.
È dai piccoli gesti quotidiani, come quello della cura per lo scarto e del suo riciclo, che si rigenerano una cultura e una società. Occorre scommettere e costruire bioraffinerie che riciclino la plastica e riducano l’inquinamento e i sacchettini biodegradibili vanno in questa direzione. Stiamo parlando di una spesa che potrebbe oscillare dai 4 ai 12 euro in più per famiglia all’anno. Una media di 1 euro al mese! 

La grande bufala

Il linguaggio delle bufale è antico, con la differenza che alle parole si dava un peso, servivano per distruggere ma anche ricostruire. Lasciamo perdere i sacchettini che dicono però la scelta o meno di uno sviluppo più umano e sostenibile… (i signori del petrolio e del carbone staranno facendo festa). Questo linguaggio ha solo cambiato la sua maschera. Era già presente negli anni Venti del secolo scorso, quando la gente voleva un uomo forte al comando e desiderava chiudersi nelle proprie identità senza aprirsi ai tempi che cambiavano. Tutto ciò che era istituzionale doveva essere distrutto… e la storia del Novecento la conosciamo. Purtroppo quello che si dimentica, ritorna. Quando nella storia si invoca la “volontà generale” dietro si nasconde quasi sempre la presenza di un Generale col potere di distruggere e quasi mai di edificare. Non so se c’è rimedio. Possiamo arginare una burrasca? La coscienza sociale matura attraverso (purtroppo) l’umiliazione della dignità umana e attraverso il dolore. La Carta Costituzionale è un evento di coscienza sociale perché la guerra aveva risvegliato ciò che contava davvero. E per noi? Cosa conta oggi? Siamo circondati da guerre e Facebook è pieno di selfie come se il mondo sono io. La cultura contemporanea sembra avere svuotato il significato antropologico di coscienza (sociale) e «il senso di obbligazione» verso gli imperativi della coscienza stessa, in particolare verso quelle «voci» che richiamano a scelte più impegnative e onerose in senso morale: la voce divina che risuona nel segreto, l’ascolto intimo, il giudizio, un «Tu» con cui dialogare, l’obbedienza sincera al comando interiore «fa’ questo, evita quest’altro», la responsabilità verso l’altro. È la coscienza morale, infatti, a porre all’uomo alcune domande radicali e ineludibili: come devo comportarmi? In che modo distinguere le voci di bene e quelle di male radicate nel cuore? Chi sono chiamato ad essere? Cosa sto costruendo?

La formazione della coscienza sociale

La formazione di una coscienza sociale può essere garantita soltanto da un’opinione pubblica formata, capace di distinguere il bene dal male. Non si tratta, come pensano molti, di imporre la verità insegnandola — il cui etimo ricorderebbe un «mettere dentro» —, bensì educando a disvelare la verità (dei fatti), e ciò nel senso più alto del termine, del «tirare fuori» risorse, innovazioni e valori: dai cittadini e dalla società. Quale alternativa sarebbe possibile? Per alcuni studiosi e politici prevedere una sorta di sceriffo del web che censuri il falso. Così si comprimerebbe il principio inviolabile del diritto di espressione.
Ricordiamo, in proposito, un aneddoto di Enzo Biagi: «Una notizia la si può raccontare in tantissimi modi. Facciamo un esempio: un bambino che vede una bicicletta la prende e scappa via. La notizia può essere raccontata così: un bambino la prende perché ha sempre sognato di avere la bicicletta; oppure, il bambino è un ladro, dimostra di essere un precoce delinquente; infine, era un gioco, il bambino non sa che certi giochi vengono contemplati anche dal codice penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà».
Si vede solo ciò che si conosce interiormente nel profondo della propria coscienza. Il Papa lo ribadisce: “La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?”. Occorre ripartire dalla responsabilità comune di saper costruire e non continuare a demolire.

Un appello al giornalismo

Quasi un secolo fa il giornalista era stato definito da Joseph Pulitzer: «La vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato». Ci chiediamo: è ancora così? Nel tempo della post-verità la genesi della notizia è radicalmente cambiata. Fino ad una decina di anni fa la notizia si dava attraverso sette tappe: a) reperimento, b) verifica, c) selezione, d) gerarchizzazione, e) interpretazione e contestualizzazione, f) commento e presentazione al pubblico, ne è la causa. Quello che rimane oggi sono i momenti dell’interpretazione e della contestualizzazione. Su questi due passaggi passa il rilancio di un giornalismo di qualità e delle notizie buone.

Certo la deontologia va rispettata. Il suo significato (dal greco tò δέον “il dovere” e λόγος “scienza”) non è un concetto statico, ma cambia nel tempo includendo i contenuti e le forme della comunicazione che generano nuove esperienze comunicative. Occorre investire molto in cultura e parlare alle intelligenze e non alla pancia. Invertire la regola delle cinque “S” che impone di parlare di sesso, soldi, sangue, spettacolo e sport per fare audience. Prepararsi con rigore sui temi caldi dell’agenda politica che toccano la convivenza civile stessa: l’antropologia post-umanista, il rapporto tra laicità e l’islam e il rapporto tra diritto di espressione e diritti soggettivi, l’integrazione, la costruzione della cittadinanza europea, la difesa della dignità della persona, ecc. A marzo si vota e in gioco c’è il destino di tutti… non possiamo svenderlo alle grandi bufale

Per approfondire vedi Famiglia Cristiana

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3 Comments

  1. 1

    Caro padre Occhetta, condivido con lei che il modo con cui raccontiamo la storia dei “sacchetti di plastica” è sintomo di profondo degrado culturale. L’interrogativo che mi pongo è: come arginare questo degrado? quale il ruolo della comunità cristiana? dove sono i laici cristiani impegnati nella costruzione della città dell’uomo a misura di uomo, per usare una espressione cara a Giuseppe Lazzati?
    Cordiali saluti

  2. 2

    Parole sante, Francesco Occhetta, ma perché riescano a imporsi bisognerebbe che gli editori e i giornalisti si convincessero che l’informazione non può essere trattata come una merce qualsiasi e come tale premiata o emarginata dal mercato. Quanto tu rimproveri giustamente ai media si ritrova pari pari nelle reazioni frettolose e nei pregiudizi diffusi del pubblico dei social network, dove ognuno appare convinto di avere la verità in tasca. Ma se è così è chiaro che cercherà sui giornali o in tv, ammesso che ne senta il bisogno, solo una conferma al suo punto di vista e troverà noioso addentrarsi nella complessità del reale. Editori e giornalisti non solo si adegueranno ma faranno a gara per soddisfarli. Caro Giancarlo Ghirra, sono cose che sappiamo e ripetiamo da tempo ma appena qualcuno di noi, sia pure Papà Francesco, pone il problema di regolare il mercato tutti si voltano dall’altra parte.

  3. 3

    I sacchetti alimentari: oggetti di distrazione di massa

    Se penso che in tutti i negozi di Corso Vittorio Emanuele, di via Montenapoleone, di via della Spiga a Milano, come in tutti i negozi non alimentari in tutte città e Paesi d’Italia, i sacchetti li danno gratis (in realtà il costo è compreso nel prezzo della merce) e sono di ben altra fattura che non quelli dei supermercati, mi chiedo, come se lo chiedeva Milena Gabanelli in una famosa puntata di Report di qualche anno fa, per quale ragione quelli alimentari vengono fatti pagare ad un prezzo diverse volte superiore ai reali costi di produzione.
    Tanto per restare nella dimensione nazionale tre comportamenti mi sorprendono:
    – le esagerate polemiche e reazioni in merito al costo dei sacchetti per i prodotti alimentari che secondo alcune stime comporteranno un costo tra i 20 e i 50 euro all’anno per famiglia.
    – per contro l’assenza di reazioni o contestazioni circa gli aumenti del pedaggio autostradale (+ 2,74%), dell’energia elettrica (+ 5,3%), del gas (+5%), per non parlare di quelli dei servizi postali, del costo delle assicurazioni e dei trasporti pubblici che sono decisi dai singoli enti gestori. Secondo Adusbef la spesa è di 980 euro in più all’anno.
    – silenzio assoluto anche su quanto, da tempo conosciuto, ma molto bene evidenziato oggi su Repubblica, circa i 75,6 miliardi di euro di incentivi fiscali elargiti ogni anno dallo Stato (pari a quattro leggi finanziarie modello 2018), molti dei quali senza più alcuna giustificazione storica ed economica
    Comportamenti contradditori o quanto meno superficiali che richiamano, anche se qualcuno può dire che il paragone non regge, in materia di costi ciò quelli che, con il referendum del 4 dicembre 2016, si è liberamente scelto di continuare a sostenere mantenendo in vita il Senato, che verrà rieletto il 4 marzo (spesa anno 2015 = 540 milioni di euro), il CNEL già risuscitato a nuova vita (spesa anno 2015 = 20 milioni all’anno).
    Ma evidentemente va bene così, o meglio a qualcuno va bene che si discuta del prezzo del sacchetto per i prodotti alimentari, ma non del costo dell’energia, del gas, del pedaggio autostradale, ecc., e guardando fuori dai nostri confini che non si discuta delle scelte di Trump circa Israele, di Iran, di Corea del Nord, oppure della possibile missione italiana in Niger, ecc.
    Quando si dice che il profitto tutto può …

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