Polemiche in Spagna: abolire o continuare la corrida?


E’ ormai da tempo che la cultura spagnola si sta interrogando sulla corrida. Nel maggio 2014 è stata sospesa a Madrid per la vittoria dei tori: è accaduto nella plaza de toros de Las Ventas a Madrid, nel 12mo combattimento delle Festività di San Isidro. Scrive l’Ansa: “I 3 toreri nel programma dei combattimenti sono stati incornati e feriti, per cui nessuno di loro è potuto tornare nell’arena per continuare la ‘lidia’. E’ la terza volta nella storia della ‘Fiesta’ di San Isidro che si cancella una corrida per la supremazia dei tori, l’ultima volta era accaduto 35 anni fa”. Il 10 luglio 2016 ancora: “Si chiamava Victor Marrio, aveva 29 anni, era di Segovia e faceva il torero: è morto ieri sera dopo essere stato incornato almeno quattro volte da un toro durante una corrida in un’arena di Teruel, in Aragona. Il toro che lo ha ucciso si chiama Lorenzo, un animale di quattro anni e del peso di 529 chili” (Ansa).

La corrida si deve abolire o può continuare ad essere praticata?

L’articolo richiama le ragioni per capire ciò che Hemingway, nella sua opera Morte nel pomeriggio, spiega come il desiderio di interessarsi alla morte e di sfidarla. La Chiesa ha pronunciato il suo «no» alla corrida nel sec. XVI ma le varie interpretazioni teologiche e culturali non hanno mai interpretato il divieto in senso assoluto. La corrida si svolge secondo i tre atti di una tragedia greca in cui il tempo cronologico lascia spazio a quello del rito pagano. È un atto di negazione della vita, in cui l’uomo sfida la morte. La crisi della corrida è avvenuta quando la si è trasformata in uno sport e politicizzata, inoltre solamente il 15% dei giovani spagnoli sono interessati a questa tradizione. Per la cultura spagnola un atto catartico, di purificazione. Uscendo dall’arena ci si sente svuotati, ma dalla morte non ci si salva così.

paco ramos

Davanti a una corrida è impossibile rimanere neutrali: si può essere solamente a favore o contrari. Tuttavia ci sono ragioni di natura culturale, morale e antropologica che tutti dovrebbero valutare e che qui cercheremo di richiamare. Questo tentativo però non deve indurre il lettore a pensare che si voglia giustificare la corrida. Tutt’altro. Qui vi riporto alcuni passaggi di uno studio pubblicato qualche anno fa quando era appena ritornato da Madrid.

Un liturgia pagana

Quale significato ha la corrida e che cosa rappresenta? Anzitutto non nasce come sport, e non è nemmeno uno spettacolo, ma è un rito sacrale con tutti gli elementi di un’antica tragedia greca. La processione iniziale, il saluto al Presidente, il suono che dà inizio allo spettacolo, gli applausi del pubblico, l’attesa per l’entrata del toro, il fruscio delle cappe, l’entrata e l’uscita dei cavalli. I silenzi, la faena, cioè la lotta con la muleta (drappo rosso) per ingannare il toro, il giudizio del pubblico, il campanello della giuria. Ma soprattutto i due protagonisti, il toro e il torero, l’uno davanti all’altro per pochi minuti, per decidere chi dei due deve vivere o morire.

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Il significato della corrida tra mito e realtà

La corrida è l’incontro con la morte prima ancora di sperimentarla. È un richiamo inconscio di stare davanti alla realtà che non riusciamo a sconfiggere, ma solo intuire. È un atto di negazione della vita, anche se breve, un’esperienza di assoluto, in cui l’uomo si colloca sulla frontiera tra natura e cultura, e sente che l’ultima battaglia per la vita è sfidare la morte. Nell’inconscio riecheggia il mito di Mitra che è scolpito nella roccia a Marino in provincia di Roma (sec. III). Mitra sacrifica il toro cosmico, compiendo quell’atto vince una dimensione dell’umano primordiale. Il toro è il guerriero forte e protettore che aiuta l’uomo nelle necessità quotidiane, ma quel sacrificio accompagna l’uomo nel viaggio finale per andare oltre la morte (cfr V. Gómez Pin, La escuela más sobria de vida. Tauromaquia como exigencia ética, Madrid, Espasa Calpe, 2002, 188).

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 L’incontro tra l’uomo e il toro per alcuni studiosi esprime anche l’allegoria del rapporto uomo-donna. Il toro al posto del maschio e il torero in quello della donna; la forza bruta contro l’astuzia e l’intelligenza. La passione cieca contro la strategia e il controllo; la potenza fisica contro l’eleganza. Un’unione di elementi contrapposti di istinto e ragione, anzi, di natura contro cultura. Il toro è il complice dell’oscurità, è il rappresentante più forte e più nobile di tutte le forze primitive e naturali, che l’uomo deve dominare con la sua cultura se vuole rimanere vivo.

La corrida può essere un’iniziazione ma soprattutto è una reminescenza: la tauromachia risveglia una memoria  non conscia e dimenticata che rivela l’«animalità» stessa dell’uomo. Il toro al posto dell’uomo, il matador che fa le veci del mondo, di un dio che però non è immortale.

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Anche Freud, che ricolloca il rapporto tra l’uomo e il toro nel significato del mito, ritiene che il padre, ammazzando l’orda primitiva, crea le condizioni in cui l’umanità influenza le organizzazioni sociali, le regole morali e religiose. L’animalità lascia spazio a ciò che è propriamente umano: «Nel mito freudiano, i membri dell’orda, sacrificando la loro animalità, si erigono in umani, ogni volta che instaurano la figura del padre».

Così nella Gerusalemme liberata, quando Tancredi uccide Clorinda, la sua morte è intrisa di sangue e metafore di passione: «E impugna l’un e l’altro il ferro acuto, ed aguzza l’orgoglio e l’ira accende; e vansi incontro a passi tardi e lenti quai due tori gelosi e d’ira ardenti».

La corrida è per la cultura spagnola la possibilità di abbandonare l’animalità e di convertirsi in rappresentanti degli uomini. Ma rimane il rimpianto e la nostalgia, il silenzio e la suspence. Ci si chiede: adesso che cosa accadrà? In gioco c’è la vita che è a pochi centimetri dalla morte. Chi vincerà? Tempo, vita passata, ricordi, nostalgia e rimpianto, e morte. Sempre e comunque morte. Nelle righe di una poesia di Alfonso Canales si descrive l’attimo: «Adesso sei solo tu, gli altri sperano […] solo tu vivi. Tu e l’animale che cerchi».Toros

Conclusione

Gli argomenti morali che continuano a valere sono tre: il rischio della vita dell’uomo, la sofferenza che si infligge all’animale, la sproporzione dei mezzi nel combattimento.Poi rimangonola dimensione filosofica e culturale della corrida che permea di significato la cultura spagnola e che può essere affrontata solamente tra spagnoli. Una ricerca di qualche anno fa ha rivelato che il 60% della popolazione spagnola è contraria alla corrida, e soltanto il 15% dei giovani si interessa a questa tradizione. Le ragioni pro e contro sono note. I sostenitori della corrida sono legati alla tradizione. Secondo loro, è meglio che i tori vivano per quattro anni allo stato selvaggio piuttosto che essere allevati in una stalla e macellati. Per gli oppositori, la corrida è un’ostentazione volgare di violenza gratuita.  Secondo uno studio dell’università Complutense di Madrid, nella facoltà di veterinaria, risulta che soffrono molto di più gli animali che vengono portati al mattatoio che i tori da corrida.

Questo dibattito dovrebbe estendersi però anche alle forme spurie di corrida, come quelle di Medina Celi (in cui il toro ha le corna infuocate), e quelle di san Firmino a Pamplona in cui i tori corrono per le vie della città inseguendo centinaia di giovani.

Uno degli elementi di crisi della corrida è l’aver trasformato la tauromachia in uno sport. La competizione fra toreri, classifiche, prestazioni, fino a farli diventare divi pubblicitari ha snaturato il significato del rito. In una corrida non ci sono rivali: tutti perdono, si confronta la fragilità non la prestazione. C’è poi un aspetto politico da non sottovalutare. Per quale ragione la Catalogna non ha abolito la festa dei «tori di fuoco» che continua a celebrare in centinaia di piccoli comuni: in cui vengono incendiate le corna del toro che corre, cercando di incornare i giovani nella piazza?

Insomma vi sono molti interessi di tipo economico, politico e turistico che stanno facendo dimenticare la tradizione e la cultura che ha fatto nascere la corrida. Il fatturato è ingente: nel 2006 il fatturato ammontava a 1.500 milioni di euro con 200.000 posti di lavoro e 45 milioni di biglietti venduti in un anno. Latifondisti, allevatori di bestiame, agenzie turistiche ecc. ritengono che, se le corride termineranno, anche il toro simbolo della Spagna non verrà più allevato.

La riforma della corrida però non è solamente politica. Certo, ad esempio, grazie ad una legge di una settantina di anni fa, nell’arena non muoiono più dagli 8 ai 14 cavalli. Tuttavia è eccessivo aver sacrificato 30.000 tori lo scorso anno e 40 uomini, tra toreri e picadores, durante il secolo scorso. Per gli studiosi: «Il grande paradosso della corrida spagnola è quando cessò di essere una questione legata alla sacralità e incominciò a diventare un sacrificio» (Á. Álvarez de Miranda, Ritos y juegos del toro, Madrid, Biblioteca Nueva, 1998, 81).

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